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"Persi anni inventando cavilli. Colpa di ministri ideologizzati"

L'ex Guardasigilli: la dottrina Mitterrand non impediva l'estradizione degli assassini. E nessuno se n'era accorto?

"Persi anni inventando cavilli. Colpa di ministri ideologizzati"

Roma - «L'errore non è stato fatto adesso, ma prima che io arrivassi al ministero. Si sono persi 15 anni, poi le cose si sono maledettamente complicate». Roberto Castelli oggi è presidente del Comitato lombardo per il Sì all'autonomia, ma nel 2004, da Guardasigilli, fu il primo a cercare di riportare Cesare Battisti in Italia e assicurarlo alla giustizia. E oggi, quando l'ex terrorista sembra riuscire ancora una volta a evitare l'estradizione dal Brasile, l'ex ministro ricorda quei giorni mentre la storia si ripete. «Su questo tema - esordisce Castelli - la politica italiana e i ministri della giustizia che si sono succeduti prima di me, da quando Battisti è fuggito in Francia e fino al mio arrivo, hanno grosse responsabilità».

Si sono sforzati poco?

«Direi nulla. E non solo con Battisti. Io quando ho preso in mano il dicastero ho trovato questioni che mi lasciarono perplesso perché evidentemente improntate a una ideologia precisa. Nessuno mai si era peritato di riportare in Italia qualcuno dei fuoriusciti in Francia che si erano macchiati di atti di terrorismo, credo fossero 142. Come dire che la legge è uguale per tutti, ma se sei di sinistra è un po' più uguale che per gli altri. Il problema è che questa scelta aveva creato un vulnus notevolissimo per le vittime e per i parenti delle vittime del terrorismo rosso. Fare giustizia non è né vendetta né crudeltà né volontà di prevaricazione. Ma solo, appunto, fare giustizia, assicurare che i rei scontino la pena alla quale sono stati condannati in via definitiva. Cosa che non si faceva per la prima delle fake news».

Fake news? E quale?

«Che la dottrina Mitterand impediva le estradizioni. Io ho fatto una cosa semplice. Sono andato a leggermi quel discorso di Mitterand che disse più o meno: garantisco la non estradizione per tutti quelli che si sono macchiati di reati politici ma non sanguinari. Quindi tutti quelli accusati di omicidio non erano coperti. E nessuno se n'era accorto?».

Lei sì. Come andò l'operazione?

«Con Dominique Perben, mio omologo francese, avevo ottimi rapporti, anche di amicizia. Stilammo una lista dei fuoriusciti scappati in Francia e condannati per omicidio. L'intellighenzia italiana e francese si scatenò protestando. E alla fine l'unico che riuscimmo a riportare in Italia fu Paolo Persichetti, nel 2002, che oggi è un uomo libero perché ha scontato la sua condanna in Italia. Per gli altri non andò così, nemmeno per Battisti che, evidentemente più protetto di lui, venne fatto fuggire in Brasile. E ripeto, non ci fu nessun accanimento, solo una doverosa attività per fare rispettare le sentenze di giusti processi».

E Battisti è ancora in Brasile. Sembrava fosse in procinto di tornare, ma è stato liberato ieri notte.

«Io sono comunque garantista. Evidentemente al di là dell'ingiustizia sostanziale per cui un omicida e complice d'omicidio è libero, a questo punto dico che dobbiamo rispettare la decisione dell'autorità giudiziaria brasiliana. Non possiamo pensare di andarlo a prendere con un blitz fuori dalle regole e dalla legge, o augurarci come ho letto che il governo brasiliano possa imbarcarlo su un volo per l'Italia a tradimento. Però mi fa piacere una cosa. Che dopo me, un altro ministro della giustizia abbia riconosciuto la doverosità di questa azione, e che le autorità italiane abbiamo abbandonato questa benevolenza verso gli ex terroristi rossi».

Il clima in questi anni è cambiato?

«Sì, direi che l'opinione pubblica ritiene che Battisti debba scontare la sua pena. Nel 2004 c'era un clima ideologico diverso, ora Orlando, che pure è di sinistra, ha scelto di perseguire la via della giustizia».

Però ci sono ostacoli e cavilli, si riuscirà a superarli?

«Tutto va fatto secondo le norme. Questo mancato impegno formale dell'Italia a convertire gli ergastoli in una pena a 30 anni, il massimo previsto dalla legge brasiliana, è un cavillo che non è un cavillo, ma l'ennesimo atto legislativo che complica la questione. La verità è che se si voleva fare giustizia bisognava agire subito, ma prima di me sono stati buttati 15 anni.

Ora è ovviamente tutto più difficile».

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