L'analisi del G

Più toghe, meno giustizia. Tra concorsi da operetta e neo-assunti inadeguati abbiamo perso trent'anni

Dal 1992 gli organici sono cresciuti di 2.242 magistrati (+26%). Ma la preparazione degli atenei è insufficiente e per coprire i posti sono stati selezionati candidati scarsi. E il problema rimane

Più toghe, meno giustizia. Tra concorsi da operetta e neo-assunti inadeguati abbiamo perso trent'anni

l lamento si leva a ogni apertura dell'anno giudiziario. Lo stesso lamento si alza ogni qualvolta il ministro di turno fa visita a un qualunque tribunale; e inevitabilmente ogni ministro annuncia che vi porrà rimedio. Tema: la mancanza di giudici. «Siamo scoperti del venti per cento!», denuncia un procuratore. «Noi siamo scoperti del trenta!», rilancia un presidente di Corte d'appello. E così, di allarme in allarme, le carenze di organico diventano la spiegazione di ogni male della giustizia italiana. Il sovraccarico di lavoro diventa il grande alibi per qualunque stortura, dai tempi biblici dei processi alle sentenze sgangherate.

Per capire quanto ci sia di valido in questo alibi bisogna trovare risposta ad un paio di domande. La prima, cruciale: di quanti magistrati ha davvero bisogno l'Italia? La seconda, che viene di conseguenza: dove e come li andiamo a pescare, questi benedetti magistrati? A entrambe le domande possono aiutare a rispondere alcuni dati. Il primo, ovvero il fabbisogno presunto di magistrati, si ottiene analizzando la crescita della dotazione organica della magistratura come si è evoluta negli ultimi decenni. Dagli 8.509 del 1992 si è arrivati ai 10.751 di oggi: un aumento di 2.242 posti, pari al 26 per cento in più, in un trentennio in cui la popolazione italiana passa solo da 56,772 milioni a 58,997, con un incremento dunque inferiore al 4 per cento. È cresciuto invece il fabbisogno di giustizia? Si direbbe di no, almeno nel settore penale: nel 1988 il procuratore generale della Cassazione Vittorio Sgroi indicava in 2.030.173 i reati commessi; nel 2021 (fonte Istat) i reati denunciati alla magistratura sono stati 2 milioni e centomila. In sintesi: a una popolazione stabile (e recentemente in calo) e a un fabbisogno di giustizia costante si è risposto incrementando sensibilmente le piante organiche della magistratura, nella convinzione - autorevolmente espressa - che «gli obiettivi di politica giudiziaria non possano trovare compiuta attuazione senza adeguate risorse umane». L'assioma «più magistrati uguale più giustizia» è stato dato per scontato.

Questo assioma (che spinto alle conseguenze euclidee porterebbe ad aumentare indefinitamente il numero dei magistrati in modo da avere un Paese a giustizia totale) va a sbattere contro altri dati, che fanno dubitare che il sistema-Paese sia in grado di produrre il numero di magistrati richiesto dall'allargamento a dismisura degli organici. A partire dal 2016 sono stati banditi dal ministero della Giustizia un numero imponente di posti: 2.672, suddivisi in otto concorsi. Ogni volta tra i 5mila e gli 8mila partecipanti, e ogni volta una strage alle prove scritte. Il dato più vistoso è nel 2022, quando si presentarono all'esame scritto in 3.797 e ne vennero bocciati 3.557; poi dei 220 ammessi agli orali ne furono bocciati altri dieci: risultato, dei 310 posti in palio ne vennero assegnati solo due terzi, gli altri rimasero scoperti. Nel 2010 al concorso bandito dall'allora ministro Alfano era andata ancora peggio, e più della metà dei 500 posti non avevano trovato candidati in grado di occuparli. Già allora ci si era interrogati sulla cause del buco: troppo severe le prove d'esame o troppo scarsa la preparazione offerta delle università?

Sta di fatto che da quel momento alle commissioni di esame viene dato un input ben preciso: i posti disponibili vanno riempiti a tutti i costi. Così, con l'eccezione del 2022, le tre prove d'esame scritte portano a raggiungere la sufficienza un numero di candidati quasi identico ai posti a concorso. È un dato miracoloso perchè in teoria tra i due fattori non dovrebbe esserci alcuna relazione, ma per amor patrio si chiude un occhio, e le commissioni adeguano i loro criteri al fabbisogno. I voti sono lì a testimoniare che tanti candidati ce la fanno per un pelo: nel concorso del 2017 per 320 posti vengono ammessi agli orali 347 candidati ma oltre un terzo, 139, passa col minimo dei voti, il 36. Legittimo pensare che tra loro ci siano oggi i giudici cui Francesco Saverio Borrelli si riferiva quando sosteneva che «più di tanti magistrati l'Italia non è in grado di produrre, quelli che passano per ultimi sarebbe meglio che venissero bocciati: quando li incontro non mi chiedo come abbiano superato il concorso ma come abbiano fatto a laurearsi». Sul livello dei candidati ebbero giudizi impietosi due magistrati importanti, il presidente della Corte d'appello di Palermo Matteo Frasca e l'ex presidente della Anm Luca Poniz, quando toccò loro far parte della commissione d'esame: nel 2008 Frasca disse «in alcune prove c'erano errori di grammatica e di ortografia per cui il mio maestro delle elementari mi avrebbe preso a bacchettate sulle dita»; Poniz nel 2021 parlò di «errori marchiani di concetto, di diritto, di grammatica».

Quindi la domanda è: l'Italia ha bisogno di tanti magistrati o di magistrati bravi? Entrambe le cose pare che non si possano avere. L'andamento degli ultimi concorsi sembra dire che si è scelto di accontentarsi, pur di riempire gli organici, di quel che l'università offre. Sapendo che sull'intera gestione dei concorsi esiste una vasta aneddotica, tra candidati ignoranti e copioni, e commissari che sbagliano a scrivere le tracce d'esame o promuovono gente che sbaglia i congiuntivi (quando questo Giornale fece notare gli strafalcioni commessi da candidati giudicati idonei, i magistrati che li avevano esaminati reagirono querelando in blocco il suo direttore, e persero).

Ma un sistema più valido finora non è stato trovato.

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