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Il pianto greco della Merkel "Nuovi aiuti a Atene? Nein"

La Cancelliera vola da Hollande e mastica amaro. Ma un sondaggio rivela: sette tedeschi su dieci stanno con Schäuble, il falco del rigore

Il pianto greco della Merkel "Nuovi aiuti a Atene? Nein"

Angela Merkel non è contenta del risultato del referendum greco. Formalmente è alla Bce, al Fondo monetario internazionale e alla Commissione Ue che gli elettori ellenici hanno detto «No». Da mesi, però, la partita Atene-Berlino viene giocata da due coppie: il duo Tsipras-Varoufakis (adesso sostituito dal più spendibile Euclide Tsakalotos) contro l'accoppiata Merkel-Schäuble. Ma mentre nell'Europa del sud la leader Cdu è diventata l'emblema dell'inflessibilità e del rigore, in Germania è tutto il contrario. Qua «Angie» è il poliziotto buono, quella che meno di una settimana fa riceveva il governatore Bce Mario Draghi e la numero uno del Fmi, Christine Lagarde senza invitare l'intransigente ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble. A far arrabbiare Merkel, da sempre regina dei sondaggi, è che i fatti hanno dato ragione al 73enne titolare delle Finanze: l'ultima indagine targata Ard gli tributa il 70% dei consensi fra gli elettori tedeschi: in 68 su 100 ritengono il governo greco responsabile del precipitare degli eventi. Il che non significa che i tedeschi siano senza cuore: il 69% si dice preoccupato mentre i possibili contraccolpi di una Grexit sull'economia tedesca tengono in ansia solo 24 cittadini su 100.

Resta il fatto che lo schiaffo ellenico brucia. «Non ci sono condizioni per un nuovo programma d'aiuti», ha commentato il portavoce della cancelliera Stefan Seibert. «La porta resta comunque aperta», ha aggiunto, e il gioco è adesso nelle mani di Atene, che deve farsi avanti con nuove idee. Certo è che nel Paese, crescono le voci a favore della Grexit. A febbraio i favorevoli al ritorno della dracma erano il 41%, oggi sono il 45%; nello stesso periodo i pro euro a tutti i costi sono scesi dal 51 al 45%. Appelli post-referendari a cacciare Atene dalla moneta comune sono stati lanciati da esponenti Cdu e dagli alleati cristiano sociali bavaresi, dai liberali agli euroscettici di AfD. E più il gioco si fa duro, più le colombe vanno in sofferenza. Così, mentre Merkel volava a Parigi per incontrare il presidente francese Hollande, il vicecancelliere socialdemocratico Sigmar Gabriel si leccava le ferite. Vaso di coccio fra la destra anti-greca e l'opposizione social-comunista (Die Linke) che ha salutato «la vittoria della democrazia in Europa», Gabriel ha dato prova di pessimismo rivolgendo un appello all'Ue affinché non abbandoni la Grecia nel momento del massimo bisogno. Il Paese, ha spiegato, rischia di trovarsi a corto di cibo e di medicinali: «La gente potrebbe avere bisogno di aiuto e non dovremmo negarglielo solo perché non siamo soddisfatti dell'esito del referendum». La politica avrà bisogno di tempo per riprendersi dallo scossone. «È però evidente che se la Grecia non vuole accettare le regole dell'Europa, e sottolineo dell'Europa, non quelle della Germania, la Grexit diventerà l'unica soluzione possibile». Lo spiega Christian Calliess, ordinario di Diritto pubblico e comunitario alla Libera Università di Berlino. «Sono i Trattati a prevedere che la solidarietà sia legata alla condizionalità delle riforme. Se la Grecia non intraprende riforme strutturali con chiare previsioni di risparmio non ci potrà essere un nuovo sostegno finanziario». E anche se l'uscita di un Paese dalla moneta comune non è previsto, «questo è un limite che le istituzioni comunitarie dovranno poter superare. Il Trattato è la nostra costituzione comune e la Grecia la sta violando.

In uno stato federale questo equivarrebbe a una secessione».

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