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Piazze, ricorsi e mozioni: Londra sulle barricate contro la «guerra di Boris»

La partita sulla Brexit arriva all'Alta Corte Corbyn: martedì voto per fermare il «no deal»

Piazze, ricorsi e mozioni: Londra sulle barricate contro la «guerra di Boris»

La controffensiva è partita, ora che Boris ha lanciato la bomba nella «sua guerra delle Falkland», come l'ha ribattezzata il conservatore «Daily Telegraph», che garantisce: «Il premier farà di tutto per vincerla». L'opposizione e il popolo anti-Brexit sono già sulle barricate. Il tempo è ridottissimo dopo che la regina ha dato il via libera al piano esplosivo di Boris, la sospensione del Parlamento per cinque settimane, dal 9-10 settembre al 14 ottobre, che esautora l'Aula dal dossier più scottante dell'ultimo secolo. Così torna all'attacco Gina Miller, l'avvocata e imprenditrice che già nel 2017 riuscì a trascinare il caso Brexit all'Alta Corte e ottenne di poter dar voce al Parlamento, con un voto, prima che il governo avviasse il processo di uscita dalla Ue. Un nuovo ricorso è già sulla scrivania dell'Alta Corte, per fermare Boris Johnson e il suo «tentativo sfacciato, di portata davvero storica, di impedire all'esecutivo di essere ritenuto responsabile della propria condotta davanti al Parlamento». Ed è solo una delle azioni legali - la più ambiziosa - per fermare l'offensiva-Boris, dopo che anche i legali dello Scottish National Party, insieme ai LibDem, hanno annunciato che trascineranno già da oggi in tribunale la decisione dell'esecutivo Johnson, per ottenere un'interdizione temporanea che impedisca al premier di sospendere i lavori parlamentari fino a quando non ci sarà una sentenza definitiva in merito.

Le corti inglesi affannate, la petizione contro la sospensione a quota 1,5 milioni di firme, le piazze anti-Brexit in subbuglio. I sostenitori più radicali di Jeremy Corbyn, il gruppo Momentum, minacciano di «chiudere le strade contro la decisione «del milionario che sta rubando la nostra democrazia». Intanto il leader del Labour annuncia battaglia in Parlamento già da martedì, quando i deputati rientreranno dalla pausa estiva, il 3 settembre, e prima che scatti la sospensione il 10 settembre. È in questo lasso di tempo strettissimo che l'opposizione giocherà tutte le sue carte «per fermare politicamente» Johnson e il «raid contro la democrazia» - parola di Corbyn - con una legge per impedire il No Deal, che tuttavia il premier potrebbe decidere di ignorare. Poi, «al momento opportuno», scatterebbe la mozione di sfiducia, nella quale si prevede confluiscano i Tory pro-Europa. E prima di eventuali elezioni, magari un governo di scopo per risolvere il rebus Brexit.

Eppure, che il piano-Boris possa dare uno scossone alle trattative con la Ue lo provano le parole del ministro degli Esteri olandese Stephan Blok, secondo cui ancora ieri, giorno della notizia della sospensione, si è lavorato per un'intesa. Il negoziatore britannico David Frost è in queste ore a Bruxelles, nel tentativo di strappare una minima concessione sul backstop (la salvaguardia del confine irlandese) da poter portare al Consiglio europeo del 17 ottobre, in modo da consentire a Johnson di tornare a Londra vincente, chiedendo al Parlamento di ratificare il nuovo accordo entro il 31 ottobre. Mossa non facile, considerata la risicata maggioranza (un deputato) di Boris in Aula. Ma è la strategia-Boris, architettata con Dominic Cummings, il suo astuto consigliere politico, artefice della campagna per il Leave nel 2016.

In sede europea si muovono anche gli europarlamentari toccati nel vivo. Mentre la presidente della Bce, Christine Lagarde, dichiara di essere fiduciosa che le misure adottate nel settore finanziario della zona euro limiteranno l'impatto dell'uscita del Regno Unito, gli eurodeputati hanno chiesto un'inchiesta formale e un'azione immediata alla Commissione europea, sulla base dell'articolo 7 del Trattato di fondazione della Ue, sollevando la questione «urgente» di un esecutivo che impedisce al Parlamento l'esercizio del suo potere legislativo. È la stessa formula usata per censurare la deriva autoritaria di Ungheria e Polonia. È probabile, tuttavia, che la Commissione non intervenga per non complicare le trattative.

Johnson perde pezzi ma è ostinato a non retrocedere. Lascia il capogruppo dei Tory alla Camera dei Lord, George Young, secondo cui la sospensione «rischia di minare il ruolo fondamentale del Parlamento, in un momento decisivo della nostra storia». E lascia la leader dei Conservatori scozzesi, Ruth Davidson, in conflitto con la linea del partito sulla Brexit. È lei che alla fine spiega meglio il senso della battaglia, chiedendo al premier di trovare un accordo con la Ue, ma soprattutto con un appello a chi sta cercando di evitare il No Deal: «Rendete chiaro, da subito, che se un nuovo accordo tornerà in Aula, lo voterete.

E fate in modo che la Ue lo sappia, per riaprire i negoziati».

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