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Il piccolo rapito da Saddam oggi insegna ai bambini come si sconfigge la paura

Il rais lo voleva usare come scudo umano, ma lui non pianse mai. Mettendo in crisi il regime

Il piccolo rapito da Saddam oggi insegna ai bambini come si sconfigge la paura

La linea di confine passò anche dalla tv e su quella frontiera c'era una di noi, una del Giornale. «Pronto, pronto, hanno attaccato! Il cielo di Baghdad è pieno di fuochi...» Silvia Kramar, nostra corrispondente dagli Stati Uniti, collabora con il Tg4 di Emilio Fede quando il 17 gennaio 1991, per cinquanta volte urla «pronto!» al telefono della redazione. Aveva comprato tre televisori in quei giorni per seguire tutti i canali americani e Peter Jennings dell'Abc, con il viso stravolto, aveva appena confermato: i bombardieri americani stavano attaccando Baghdad. Quelle dodici parole segnano l'inizio della guerra del Golfo, la nuova frontiera della tv e la fine del monopoli dei tg Rai. «I miei rivali della Rai avevano la redazione in un grattacielo di Manhattan, ma facevano orari di ufficio - racconterà Silvia Kramar al sito Blogo - Alle cinque del pomeriggio chiudevano tutto e se ne andavano. E così fecero pure quel 17 gennaio». Lei restò, giusto il tempo di entrare nella Storia.

Cinque mesi prima Saddam Hussein aveva invaso e annesso il piccolo ma ricchissimo Kuwait. L'Irak, ridotto alla bancarotta dalla guerra con l'Iran, aveva bisogno dei pozzi petroliferi dei vicini, cioè di sangue per sopravvivere, e il rais l'ambizione di mettere il suo sigillo in un'area decisiva per l'economia mondiale. Gli Stati Uniti, scortati dall'Onu, lo avvisano: ritirati o sei finito. Ma Saddam si consegna alla disfatta senza fare un passo indietro, senza aprire uno spiraglio alla trattativa, senza ascoltare nessuno, nemmeno i suoi alleati. Sa, o crede di sapere, quello che fa. Le ultime ore di tregua si consumano in un'attesa fatta di ansia e di paura, di proteste e di preghiere. Poi la guerra si sostituisce alla pace, ma il conflitto iniziato il 17 gennaio è già finito il 27 febbraio, non più di quaranta giorni in tutto, più di centomila le vittime tra i militari e i civili iracheni, pochissime quelle Alleate. Le condizione prima per la pace: via l'occupazione del Kuwait, poi Saddam dovrà ridurre l'esercito e smantellare le armi di distruzione di massa. Ma resterà al suo posto. Lo impiccheranno alla fine di dicembre del 2006, ma questa è tutta un'altra storia.

Un bambino perduto

« Sono un insegnante di educazione fisica, ed è divertente quando i miei studenti vogliono sapere quello che mi è successo in Irak quando avevo cinque anni. Mi chiedono: ma è vero che ti ha rapito Osama bin Laden? Beh, no, non è proprio così...» Stuart Lockwood va verso i quarant'anni ma la faccia è sempre quella di un ragazzino. Insegna educazione fisica in una scuola del Worcestershire, allena la squadra di rugby della contea e della popolarità facile dei giorni nostri, lui che è stato per alcuni giorni il bambino più famoso della Terra, non importa molto. Si fa vedere poco e parla poco soprattutto della sua storia. Era tra gli inglesi usati come scudi umani da Saddam e le immagini di lui impietrito e lontano, vestito da calciatore, in piedi davanti al dittatore iracheno, che gli arruffa i capelli con un ghigno sinistro, angosciarono il mondo, l'Erode iracheno che ricattava il mondo minacciando la strage degli innocenti. «Avevo paura, ma erano le guardie armate che mi spaventavano a morte non lui. Un po' sapevo chi era e che era un uomo importante, tutto l'edifico era pieno delle sue foto, ma non sapevo quanto fosse potente, perché mia madre e mio padre mi avevano sempre protetto da tutto».

Il padre di Stuart era un ingegnere chimico ingaggiato per lavorare in Kuwait nell'industria petrolifera. La famiglia viveva in un bungalow in un quartiere costruito apposta per ospitare le famiglie dei britannici che lavoravano lì, professionisti, consulenti d'aziende, rappresentanti d'imprese tecnici, a trenta metri dalla spiaggia e con la piscina a disposizione. Ma all'improvviso, nella notte che va dal primo al due agosto, tutto cambia. Saddam invade il Kuwait e tutti gli stranieri che, per qualsiasi motivo, si trovano lì, più o meno diecimila persone, diventano pedine del rais. Saranno gli scudi umani che proteggeranno arsenali, fabbriche, postazioni radar nel mirino degli americani. «Ricordo che giocavo con i figli dei nostri vicini di casa, poi è arrivata la guardia irachena e tutti gli uomini del nostro campo sono stati presi in ostaggio. È passato almeno un mese prima che potessimo ritrovarli. Quando siamo arrivati a Baghdad, siamo stati portati in un edificio e riuniti tutti assieme, sotto lo stesso tetto, per evitare che fosse bombardato. Però i soldati iracheni erano molto gentili, premurosi. Hanno persino preparato una torta per il compleanno di uno dei bambini. Poi improvvisamente sono diventati rigidi e severi».

In realtà non sono così cortesi. Raccontano di soldati che portano gruppi di ostaggi nel deserto di Bassora, nel cuore della notte: mettono in mano a tutti delle pale, fanno scavare delle fosse, li piazzano dietro ciascuno di loro con una pistola puntata alla nuca, sparano, ma le pistole sono scariche, è solo un gioco crudele per divertirsi, la risata in faccia come tortura. Più della metà degli ostaggi di Saddam ha pagato cara la prigionia e il terrore vissuto in quelle giornate: hanno visto sbriciolarsi carriere e relazioni, rovinate dallo stress, dalle difficoltà finanziarie e dalla depressione. Alcuni hanno tentato il suicidio, altri ci sono riusciti.

La farsa tv

Ma a Saddam non basta. Saddam vuole terrorizzare il mondo, fargli sapere che è pronto a tutto. «Speriamo che la vostra presenza come ospiti qui non sia troppo lunga» sibila al gruppo che ha di fronte. Poi con gli occhi punta il suo bersaglio. «C'erano un sacco di bambini nella stanza, mi vide e scelse me. Mio padre non voleva che mi muovessi e mi strinse forte la spalla per trattenermi, ma mia madre intervenì: "Derek, lascialo andare". E a quel punto andai in prima linea con Saddam...»...

Attraverso l'interprete finge un dialogo qualunque, domande tipo «ti hanno portato il latte per la colazione?». Poi cerca di farlo sedere sulle sue ginocchia. Ma Stuart non ci sta: incrocia le braccia e si allontana. Saddam comincia lì a perdere la guerra. Per un bambino di cinque anni.

Mentre la moglie e i due ragazzi vengono tenuti in ostaggio per un mese prima di essere rilasciati, Derek Lockwood resta prigioniero in Irak per altri tre mesi. «Separarmi da papà è stato orribile. Mio fratello maggiore aveva 14 anni e fu costretto a prendere il suo posto, a farmi da padre. Ma una settimana prima di Natale tutti furono rilasciati e papà tornò a casa. Ad oggi è il miglior regalo di Natale che abbia mai ricevuto...»

Merito anche del reverendo Jesse Jackson, il pastore battista di Greenville, paladino dei diritti civili, negoziatore di livello internazionale e candidato, un paio di volte, alla Casa Bianca, che trattò la liberazione degli ostaggi. Lo aveva già fatto a Cuba e in Siria: «Mi portò lui in aereo a Heathrow. Ricordo un sacco di flash e tante persone che volevano scattare fotografie, farmi interviste. Mia madre rideva, perché ero stanco, scontroso e mi nascondevo dietro di lei: non volevo avere niente a che fare tutto quello che stava succedendo». Non tutti la prendono così: Il Daily Mail definì Stuart «una pedina nella politica mondiale» prima di Saddam poi di Jackson che «ha usato un bambino per trovata pubblicitaria nella corsa alla Casa Bianca». Si ritroveranno 18 anni dopo, a Londra, per il Global Diversity Award. Stuart ha raccontato di avere in casa una foto di Jackson sulla mensola di un armadio: «Ritrovarlo - raccontava - è stata un'emozione travolgente». E Jackson: «Stuart fu usato come un trofeo. Ma ha dato una lezione a tutti restando in piedi davanti al dittatore più pericoloso del mondo».

Un bambino, ma cotaggioso come un vero uomo.

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