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Polanski di nuovo nei guai Varsavia vuole estradarlo

La Polonia annuncia appello contro il rifiuto agli Stati Uniti E per la star si potrebbero anche riaprire le porte del carcere

Polanski di nuovo nei guai Varsavia vuole estradarlo

Se è vero che sono tutti uguali davanti alla legge, allora la Polonia decide di non fare sconti. E fa marcia indietro. L'annuncio da parte di Varsavia di una riapertura del procedimento di estradizione è piombata come una lama gelata sull'infinito caso di Roman Polanski, il regista accusato di avere stuprato una minore nel 1977 e richiesto da anni dalla magistratura americana per avviare il processo a suo carico. Il ministro della Giustizia di Varsavia, Zbigniew Ziobro, in un intervento in diretta alla radio ha spiazzato tutti annunciando che presenterà ricorso personalmente, in quanto procuratore generale, per ribaltare la sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia di Cracovia lo scorso autunno. Polanski è accusato di «un crimine odioso contro un minore», ha detto Ziobro, e ha deciso «di fare appello alla Corte suprema» contro il rifiuto, da parte dei magistrati, di concedere l'estradizione verso gli Stati Uniti.

La notizia riporta in primo piano una vicenda che ha accompagnato come un'ombra l'intera carriera di Polanski, regista di origini polacche pluricandidato agli Oscar e consacrato con la vittoria nel 2002 de Il pianista, film che gli valse anche la Palma d'oro a Cannes. Nel 1977 Polanski, allora 43enne, era stato arrestato dopo la denuncia da parte dei genitori di Samantha Geimer, 13enne che si era presentata insieme ad altre modelle per un servizio fotografico a Los Angeles nella villa che apparteneva a Jack Nicholson. All'accusa Polanski aveva reagito inizialmente dichiarandosi innocente ma dopo 42 giorni di carcere aveva capovolto la versione e confessato di avere avuto «un rapporto extraconiugale con una minore». Da quel punto in poi gli avvenimenti prendono la forma della più intricata fra le trame cinematografiche, con colpi di scena che cominciano con il rilascio e poi, poco dopo, la notizia che il procedimento può essere riaperto e la pena può arrivare fino a 50 anni di carcere. È qui che per Polanski si apre la pagina, mai più chiusa, della fuga verso l'Europa, prima in Francia, poi in Svizzera ed infine in Polonia, con l'unica certezza che non potrà mai più tornare negli Stati Uniti per non rischiare un nuovo arresto.

La vicenda giudiziaria si intreccia con quella dei successi e della carriera, e così nel 2002 per ricever l'Oscar Polanski è costretto, ad esempio, ad aspettare che Harrison Ford glielo consegni in Francia. Nel settembre 2009 la polizia elvetica lo arresta all'aeroporto di Zurigo, ma alla fine non viene estradato perché la magistratura decide di optare per gli arresti domiciliari, che il regista trascorrerà in uno chalet di Gstaad. Nel 2010 le autorità svizzere rifiutano di concedere per la seconda volta l'estradizione, individuando un «vizio di forma» nella richiesta statunitense: il regista si vede revocare anche gli arresti domiciliari e il braccialetto elettronico, e da allora si reca a più riprese in Polonia, sua terra di origine. La magistratura americana la pensa in modo decisamente diverso, e nel 2014 la Corte superiore di Los Angeles respinge la richiesta di archiviazione presentata dalla squadra legale del regista, ormai 81enne. La decisione dei magistrati di Cracovia, lo scorso autunno, è sembrata anche alla luce di questa sentenza la fine di una corsa durata quasi 40 anni. «Sono felice che sia finita», aveva commentato il regista aggiungendo di sapere che ci sarebbe stato un lieto fine, «non avevo il minimo dubbio». Non aveva calcolato l'ultimo colpo di scena, che adesso potrebbe riscrivere un finale del tutto diverso.

In caso di una nuova decisione da parte delle autorità polacche per Polanski si potrebbero aprire nuovamente le porte del carcere e a nulla varrebbe il perdono concesso nel frattempo da Samantha Geimer, che nel 2013, all'età di 48 anni, ha chiesto per il regista «il non luogo a procedere».

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