L'appunto

Il premier punta sulle trivelle per ripulirsi dal caso petrolio

Renzi ha deciso di scendere in campo dopo la perdita di consensi per l'inchiesta di Potenza. Ha scelto una sfida in discesa, prima di Comunali e voto di ottobre

Il premier punta sulle trivelle  per ripulirsi dal caso petrolio

A Palazzo Chigi il cambio di rotta è stato deciso la settimana scorsa, quando Matteo Renzi ha rotto gli indugi mettendo la faccia in prima persona sul referendum di domani. Un netto cambio di passo rispetto alla strategia pianificata nei mesi scorsi e che puntava a un sostanziale disimpegno, per poi concentrarsi prima sulla tornata amministrativa di giugno e poi sul quesito confermativo della riforma costituzionale che si terrà ad ottobre, questo sì vero banco di prova per il premier e il suo governo.

Negli ultimi 15 giorni, però, gli eventi sono precipitati. E nonostante le fulminee dimissioni del ministro per lo Sviluppo Federica Guidi, l'inchiesta di Potenza ha acceso i riflettori sul tema petrolio-trivelle e ha avuto come conseguenza per Renzi un sensibile calo di consensi. Una discesa direttamente proporzionale - parliamo sempre di sondaggi - all'aumento dell'affluenza alle urne prevista per domani. Il quesito, infatti, è andato pian piano diventando una sorta di consultazione pro o contro il premier, visto che il fronte del «sì» raggruppa di fatto tutte le opposizioni a Renzi (dai Cinque Stelle a Sinistra italiana, passando per Lega, Forza Italia e Fratelli d'Italia) oltre a buona parte della minoranza Pd e alla Cei. Domani, dunque, in qualche modo si terranno le prove generali del referendum di ottobre, oltre che delle amministrative. Il punto, infatti, sarà capire quale e quanta è la capacità di aggregazione del fronte antirenziano, seppure in una consultazione per certi versi falsata. La partita, infatti, si gioca di fatto sul quorum. E al premier per poter cantare vittoria è sufficiente che vadano a votare meno del 50% più uno dei quasi 51 milioni di elettori aventi diritto. Una sfida decisamente più facile di quella di giugno, quando tra Roma, Napoli, Milano e Torino, Renzi rischia seriamente di portare a casa una sonora sconfitta: nelle prime due è molto difficile vincano i candidati del Pd, la terza si deciderà il ballottaggio e anche il capoluogo piemontese è a rischio.

Ecco perché il premier ha deciso di cavalcare il referendum sulle trivelle: per poter ribaltare l'affaire petrolio-Potenza-Guidi e per «fare cassa» oggi in vista dei tempi duri che arriveranno a giugno. Quando, peraltro, dovrà mettersi in moto la macchina della comunicazione che ci porterà al referendum di ottobre, quello sì vero banco di prova per Renzi. L'obiettivo, dunque, è quello di non arrivare allo sprint decisivo già in affanno. E anche solo incassare domani un primo successo sarebbe un buon punto di partenza in un periodo di magra come quello attuale. Lo storytelling renziano, infatti, è già pronto a rilanciare con il dovuto risalto il fallimento delle ragioni del «Sì», per quanto il successo sarebbe in verità modesto.

Se si considera un'astensione fisiologica che è intorno al 25% - nel 2013 votarono il 72% degli aventi diritto - per vincere la partita a Renzi è sufficiente dissuadere dall'andare alle urne un altro 25% di elettori.

Visto il risalto sui media dato al referendum, lo scarso impegno delle opposizioni e la campagna pro-astensione del premier, praticamente una partita già vinta.

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