I segreti della magistratura

"Pure lui a quella cena". Gratteri lo fa arrestare ma è solo un'omonimia.

Una perizia fonica scagioca un ex assessore finito ai domiciliari in un'inchiesta di mafia

"Pure lui a quella cena". Gratteri lo fa arrestare ma è solo un'omonimia.

Galeotta è il caso di dirlo fu l'onomastica. Bello scivolone, quello capitato a Catanzaro, nella cornice dell'inchiesta «Basso profilo», quella «firmata» dal procuratore capo della città calabrese Nicola Gratteri che è finita sui giornali soprattutto per aver coinvolto l'ex leader Udc Lorenzo Cesa, ritrovatosi indagato per associazione per delinquere aggrava dal metodo mafioso proprio nei giorni in cui l'allora segretario del partito centrista era oggetto del corteggiamento di Giuseppe Conte a caccia di «costruttori» e «responsabili» per salvare la propria maggioranza dal naufragio.
Ebbene, in quell'indagine, tra gli altri, era finito ai domiciliari pure Giuseppe Selvino, assessore del piccolo comune di Santa Severina, in provincia di Crotone. Accusato di aver favorito l'imprenditore protagonista dell'inchiesta, Antonio Gallo (lo stesso che per gli inquirenti avrebbe poi pranzato con Cesa a Roma, inguaiando l'esponente Udc) intenzionato ad aggiudicarsi alcuni appalti del consorzio di bonifica Jonio-Crotonese, per il quale Selvino aveva lavorato come dipendente, oltre ad essere stato membro interno della commissione giudicatrice di una gara d'appalto.

Il Sistema

Un bel guaio, per l'assessore, che si è ritrovato indagato per turbativa d'asta spedito agli arresti domiciliari, oltre a vedersi sospendere lo stipendio e a dire addio al suo scranno da assessore, immediatamente revocato dal sindaco di Santa Severina. A «incastrarlo» - si fa per dire, come vedremo le intercettazioni ambientali registrate dagli inquirenti alla festa di compleanno di un tale Valerio Scarpino, nel corso della quale, a tavola, tra un brindisi e un antipasto, lo stesso Gallo e una serie di invitati al party parlavano di questioni economiche di interesse per gli inquirenti, oltre ad altre registrazioni di incontri tra lo stesso imprenditore e Giuseppe.

Giuseppe ossia lui, Selvino, secondo procura e gip. Non secondo il diretto interessato, che ha provato, in sede di interrogatorio di garanzia, a spiegare per esempio che lui a quel compleanno nemmeno era stato invitato, e che dunque a parlare non poteva essere la sua voce. Niente da fare. Addio posto da assessore, addio stipendio (per il momento), addio libertà. Finché, grazie a una perizia fonica di parte, Selvino e il suo legale, Eugenio Perrone, sono riusciti a convincere anche la polizia giudiziaria, autrice delle intercettazioni e delle trascrizioni dei brogliacci, che quella voce registrata di «Giuseppe» era sicuramente di un Giuseppe, ma non di Selvino il cui timbro vocale, registrato proprio durante l'interrogatorio di garanzia, non era compatibile nemmeno lontanamente con l'intercettato. «Erroneamente scrivono a quel punto gli agenti di Pg per avvertire procura e gip - veniva attribuita la voce parlante, in talune intercettazioni, a Selvino Giuseppe in luogo di un altro indagato dell'inchiesta». E a quel punto, senza nemmeno le scuse per il terribile equivoco e per le sue conseguenze devastanti per l'indagato arrestato «per sbaglio» nell'inchiesta da prima pagina di Gratteri, Selvino mercoledì scorso torna finalmente libero quando il gip Alfredo Ferraro accoglie la sua richiesta di scarcerazione, scrivendo che ma tu guarda anche «conformemente a quanto osservato dallo stesso pm, le esigenze cautelari risultano allo stato grandemente scemate».

L'arrestato di fine gennaio può lasciare i domiciliari.

Ma sarebbe bastato fare una verifica prima dell'operazione - e davvero basta un'omonimia, peraltro solo sul nome di battesimo, per privare una persona della propria libertà? - per evitargli venti giorni di gogna e l'addio che i fatti hanno dimostrato essere immotivato al suo posto di assessore.

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