Scienze e Tecnologia

Quando il grande genio nasce da un piccolo bisogno

La storia è piena di oggetti inventati quasi per caso L'Eni ha messo a confronto gli innovatori del presente

Quando il grande genio nasce da un piccolo bisogno

La leggenda narra che la più geniale intuizione del web sia spuntata per gioco, anzi per vendetta. Una notte dell'ottobre 2003 lo studente di Harvard Mark Zuckerberg, mollato dalla fidanzata, si siede davanti al pc e immagina un portale che raccolga le foto di tutte le ragazze dell'università, con la possibilità di confrontarle a coppie e lasciare ai visitatori il gusto spietato di votare la più bella. Così, in poche ore, nacque Facemash, l'embrione di Facebook. La storia delle invenzioni, e non soltanto all'epoca della Rete, è costellata di episodi privati, se non addirittura casuali, che però hanno dato vita a un cambiamento nelle abitudini quotidiane di milioni di persone. Cosa accomuna la filosofia Airbnb alla ricetta della Coca Cola? Semplice, la necessità di risolvere un problema. Come Joe Gebbia e Brian Chesky, giovani squattrinati a San Francisco, che nel 2007 pensarono bene di affittare tre materassi come posti letto per chi avrebbe voluto partecipare a una conferenza in città ma non aveva trovato spazio negli hotel, tutti esauriti: i primi tre ospiti accettarono l'invito pagando 80 dollari a notte. Allo stesso modo, il mito vuole che nel 1886 il farmacista di Atlanta John Pemberton stesse cercando un rimedio che gli curasse il mal di testa. Mischiò una serie di ingredienti (naturalmente segretissimi), l'emicrania migliorò, e per anni quella che è la bevanda più bevuta del pianeta fu venduta a pochi intimi nella sua bottega.

Nell'era della robotica umanizzata e dell'internet delle cose, la prospettiva non è cambiata granché. Il futuro passa sempre attraverso le esigenze del presente. A poco più di un mese dalla «Maker Faire - The european edition» che si svolgerà nella Nuova Fiera di Roma dal 14 al 16 ottobre, Eni in qualità di main partner di Triennale XXI, l'esposizione internazionale dedicata al design, ha messo a confronto a Milano docenti, giovani creativi, manager di start up e strateghi delle tecnologie. L'evento «WeMake, il futuro tra energia e innovazione» è stato un antipasto di quello che sarà la Maker Faire capitolina, da quattro anni crocevia italiano delle buone pratiche d'innovazione con oltre 100mila presenze, tra cui non solo aziende ma intere famiglie attratte dalle (infinite) opportunità della rivoluzione digitale. Che non è un'idea astratta, bensì «lo strumento a nostra disposizione per cambiare il modo di produrre e distribuire le cose», afferma Marinella Levi, professore di Ingegneria dei materiali al Politecnico di Milano e fondatrice del +Lab, il più importante laboratorio italiano di stampa 3D, negli stessi locali in cui lavorò negli anni Cinquanta il premio Nobel Giulio Natta. Con la stampa 3D Levi e il suo team di ingegneri realizzano oggetti a basso costo, improntati alla funzionalità per rispondere a bisogni precisi e non come esercizio tecnico fine a se stesso. Ed ecco l'«artigianato digitale»: dall'apribottiglie ergonomico agli apri-cerniera di zaini e valigie, pensati per chi soffre di artrite. Non mancano progetti più ambiziosi, come quello dell'allievo Gabriele Natale, 28 anni, che punta a stampare in 3D nientemeno che imbarcazioni a elevate prestazioni utilizzando materiali compositi a fibre lunghe. È partito da componenti dal peso di 80 grammi che stanno nel palmo di una mano, e nutre ogni giorno il sogno di «avviare la sperimentazione delle barche stampate interamente in 3D proprio nel mio Salento».

Lo ha spiegato chiaramente Simona Maschi, direttore dell'Istituto di Interaction design di Copenaghen: «La tecnologia è un mezzo, non un fine. L'innovazione cambia il modo in cui la gente vive e anche la più grande scoperta nasce per rispondere a una domanda di nicchia. Solo in un secondo momento viene apprezzata e condivisa da tutti». Al Ciid Maschi lavora al fianco delle aziende per sviluppare soluzioni che paiono da film di fantascienza, ma che partono da questioni molto molto concrete. In auto i bambini fanno i capricci durante un viaggio troppo lungo? Per Toyota è stato elaborato il prototipo di finestrino posteriore che funziona come un tablet per interagire con la realtà esterna e giocare con il paesaggio circostante. Così come è pronta l'applicazione che permette a chi è affetto da grave disabilità di suonare uno strumento musicale con il solo movimento degli occhi e dei muscoli facciali, e che però si dimostra un passatempo divertente per chiunque. Con Philips, inoltre, si reinventa addirittura la viabilità stradale, personalizzandola: bastano tre pedoni muniti di smartphone per crearsi le proprie strisce pedonali, proiettabili sull'asfalto ogni qual volta si voglia attraversare la strada di notte in un punto sprovvisto della classica «zebra». Una trovata già sperimentata nella civilissima Danimarca, dove giurano abbia funzionato alla perfezione. Ma chissà come reagirebbe di fronte a una simile novità l'automobilista italico medio..

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