«Risulta dunque dimostrata l'assenza in capo al dottor De Pasquale dei prerequisiti della imparzialità e dell'equilibrio, avendo reiteratamente esercitato la giurisdizione in modo non obiettivo né equo rispetto alle parti nonché senza senso della misura e senza moderazione». È questo il passaggio cruciale della delibera che oggi arriva all'esame del Consiglio superiore della magistratura, e che potrebbe segnare la fine della carriera di uno dei magistrati più noti d'Italia: Fabio De Pasquale, il primo a far condannare Craxi, l'unico a far condannare Berlusconi. Un'icona della resistenza giudiziaria finito ora nei guai per la sua gestione del processo Eni-Nigeria, incriminato per avere nascosto prove utili alle difese dei vertici dell'azienda di Stato.
Per quasi un anno, De Pasquale ha mantenuto la doppia veste: imputato a Brescia, procuratore aggiunto a Milano, capo del pool sulla corruzione internazionale, da ultimo promosso a interlocutore di Eurojust. La situazione era oggettivamente paradossale, ma il Csm aveva permesso che si prolungasse, lasciando fermi - in attesa degli esiti del processo - i procedimenti disciplinari aperti contro il collega milanese.
Ma ora i nodi vengono al pettine. Perché l'incarico di De Pasquale come procuratore aggiunto è scaduto due anni fa, lui ha chiesto la proroga, e il consiglio giudiziario milanese - il parlamentino locale delle toghe - gli aveva detto di sì, con una curiosa motivazione che pur dando atto che le scelte di De Pasquale erano state «opinabili» e «indizio di parzialità» le riduceva a un perdonabile infortunio in una carriera luminosa. Il parere salva-Fabio era stato approvato con un solo voto contrario.
Ma dopo il parere milanese la pratica è arrivata al Csm. E qui la commissione incarichi direttivi, dopo avere convocato e interrogato il procuratore aggiunto, ha bocciato all'unanimità la sua richiesta di continuare a occupare il posto: contro di lui ha votato anche Antonello Cosentino, esponente della corrente di sinistra. Il provvedimento della commissione è, confrontato al linguaggio solitamente felpato del Consiglio superiore, di inusitata durezza. Oggi il parere arriva all'esame del plenum del Csm, e solo un ribaltone delle posizioni impedirebbe che De Pasquale si ritrovi retrocesso a soldato semplice.
Le prove che sarebbero state nascoste durante il processo all'Eni dimostravano - come è noto - che il principale teste d'accusa, l'avvocato Vincenzo Armanna, era un calunniatore e un mestatore.
Ebbene, secondo il parere della commissione, tali condotte di De Pasquale «oggettivamente connotate da patente gravità, sono indiscutibilmente idonee ad incidere sui prerequisiti dell'imparzialità e dell'equilibrio del magistrato, in quanto finalizzate a preservare nonostante significative evidenze di segno contrario la credibilità di un coimputato che aveva reso dichiarazioni etero-accusatorie e, quindi in sostanza a salvaguardare, attraverso la protezione della credibilità di dette dichiarazioni, la ricostruzione dei fatti proposta dalla Pubblica accusa, con conseguente violazione del diritto degli imputati ad avere un giusto processo. Ciò sulla base di una valutazione incoerente con le prerogative e le facoltà del Pubblico Ministero e con il suo statuto costituzionale».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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