Mondo

Il ritorno del sangue di Hamas. Attacco al cuore di Gerusalemme

Il terrorista palestinese Shkahydem fa una vittima e tre feriti nella città vecchia. Il terrorismo fa paura

Il ritorno del sangue di Hamas. Attacco al cuore di Gerusalemme

È bellissima la Città Vecchia alle 9 di mattina vicino al Muro del Pianto, i negozi chiusi, le stradine vuote. Vuote, fuorché per il terrorista che cerca la preda, Faadi Abu Shkahydem, di mestiere educatore religioso, un fanatico colto conosciuto dalla polizia, un imam di Shuafat nella periferia di Gerusalemme. Il video di un telefonino mostra tutto: i colpi dell'arma automatica risuonano sulle pietre antiche, un ferito chiama disperato aiuto, gente per terra, fuga. Girano già foto che lo rappresentano in cattedra, mentre insegna a file di studenti concentrati e attenti, e altre riprese che lo mostrano furioso contro gli ebrei. E, già impaginata e pronta nel santino con la bandiera verde sulla Moschea di Al Aqsa, la faccia barbuta dell'assassino ispirato dal piacere di essere uno shahid, un martire di Hamas. Tutto nerovestito è uscito col mitra e i coltelli e ha sparato, uccidendo un ragazzo israeliano, una guida, e ferendone almeno altre tre, uno è grave. Poi due poliziotte lo hanno fermato, e le forze dell'ordine sono riuscite a sparargli fermando la strage. È la seconda volta in una settimana che Hamas colpisce a Gerusalemme, la volta precedente un attacco col coltello, sempre in Città Vecchia.

Stavolta il terrorista aveva 42 anni e poiché anche a Giaffa poco più tardi un palestinese, probabilmente di Hamas, è stato bloccato dopo aver assalito e ferito un uomo, si comincia a pensare a un'ondata terrorista. Che Shkhaidem avesse progettato l'attacco sembra evidente, aveva fatto partire la moglie da Israele.

Quella dell'aggressione terroristica palestinese è una vicenda che si rinnova portando lutto con ritmo implacabile: Hamas è alla ricerca di consensi nel suo conflitto interno con Abu Mazen e cerca di rafforzarsi ulteriormente dopo che il presidente americano Joe Biden, oltre all'Egitto e altre forze mediorientali, hanno di nuovo spinto un rinnovato sforzo di unità fra Hamas e Abu Mazen.

Adesso, poi, la mossa prende un sapore internazionale, perché la ministra degli Interni inglese Priti Patel ha messo nella lista delle organizzazioni terroriste Hamas, per intero, non solo per la parte armata. E ha anche spiegato che lo ha fatto anche in virtù del fatto che si tratta di una «rabbiosa organizzazione antisemita» che mette a rischio al vita di tutti, e che tollerare l'antisemitismo crea delle pessime condizioni per la sicurezza del popolo ebraico e di ciascuno, dando la possibilità di spargere il veleno della violenza in tutti i Paesi occidentali, oltre che in Israele. Patel segnala una lungimirante visione strategica quando aggiunge che bisogna combattere senza risparmio di forze dato che Hamas «ha significative capacità terroriste, incluso l'accesso a quantità estesa di armi sofisticate e a strutture di training terrorista». Ovviamente qui il riferimento è ai rapporti con Fratellanza Musulmana, Erdogan e Qatar, oltre che dell'Iran della Guardia Rivoluzionaria.

Hamas ha reagito dicendo che l'Inghilterra «di nuovo sostiene gli aggressori invece delle vittime». Quello che qui Hamas intende, e stavolta risulta d'accordo con Abu Mazen, è la completa delegittimazione e criminalizzazione del fondamento stesso dello Stato d'Israele, e quindi la determinazione a cancellarlo.

Una risoluzione di morte, cui manca qualsiasi spazio per una politica di pace e soprattutto di miglioramento della condizione palestinese, destinata alla predicazione d'odio che gli viene somministrata dalla parole e dai gesti di gente come Shkaidem.

Commenti