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La Russia ammette il doping. "Ma il Cremlino non c'entra"

Sul «New York Times» le rivelazioni dei funzionari di Stato. La replica di Mosca: «Nulla di attendibile»

La Russia ammette il doping. "Ma il Cremlino non c'entra"

«Abbiamo scoperto macchinazioni. Abbiamo scoperto manipolazioni di provette nei laboratori. Abbiamo scoperto pagamenti per cancellare i risultati dei test antidoping». Era il novembre del 2015 e Dick Pound, presidente della commissione indipendente della Wada, (l'agenzia mondiale antidoping) scoperchiava davanti al mondo intero l'uso continuo ed estesissimo di pratiche di doping in Russia. E insieme alle accuse, i numeri: oltre mille atleti avrebbero preso parte a un programma di doping durato quattro anni a partire dal 2011, con almeno quattro medagliati a Sochi 2014 e cinque a Londra 2012 in odor di squalifica; almeno l'80% delle medaglie internazionali vinte dalla Russia tra il 2001 e il 2012 sarebbero frutto di «motori» non puliti. Cifre che hanno costretto il Cio a usare il pugno di ferro. Nei giorni scorsi ha avviato un procedimento disciplinare per 28 atleti che parteciparono a Sochi 2014, accusati di aver manipolato i campioni d'urina. Mentre quest'estate aveva decretato l'esclusione dai Giochi di Rio per molte federazioni: solo gli atleti di poche discipline, come quelli di judo, vela e volley avevano potuto prendervi parte. Divieto assoluto per la federazione di atletica leggera, tra le più esposte, con qualche eccezione. Come per la saltatrice in lungo Darya Klishina, famosa più per la sua avvenenza che per i risultati in pedana o per la mezzofondista Stepanova: fu proprio lei, dopo la squalifica per doping, a denunciare in un documentario andato in onda nel dicembre 2014 sulla tv tedesca Mdr il «sistema russo».

Ora un nuovo capitolo di una storia in cui ombre e lati oscuri rischiano di offuscare le poche verità finora emerse. Secondo quanto raccolto e rilanciato dal New York Times, la Russia avrebbe ammesso per la prima volta «una delle più grandi cospirazioni istituzionali nella storia dello sport: una vasta operazione di doping sugli atleti russi». A parlare è Anna Antseliovich, direttore generale dell'agenzia antidoping russa (Rusada), che si è detta sconvolta dalle rivelazioni contenute nel rapporto McLaren recentemente pubblicato dalla Wada, l'agenzia mondiale antidoping. Ma nelle diverse interviste raccolte dal quotidiano a Mosca i funzionari del Cremlino hanno respinto l'accusa che il programma di doping sia stato gestito direttamente dallo Stato. Anzi. Secondo le fonti del Nyt il ricorso al doping sistematico sarebbe servito per compensare quello in Russia era percepito come un «trattamento preferenziale per le nazioni occidentali da parte delle autorità sportive». Insomma, doping ma non di Stato. Semmai doping di sopravvivenza. Anche se l'intreccio tra sport e istituzioni continua ad affiorare nei rapporti messi nero su bianco da commissioni indipendenti e inchieste giornalistiche. E una replica, molto politica, all'articolo del New York Times non è tardata ad arrivare. «Non intendiamo accettare tale informazione come una fonte diretta», ha detto il portavoce del presidente russo, smentendo ancora una volta il coinvolgimento del governo. Per il ministro dello Sport Pavel Kolobkov si è trattato di un «articolo fuorviante»: «la Antseliovich non è un funzionario pubblico e la Rusada è un'organizzazione non governativa». Le parole del capo dell'agenzia sono state «distorte e riportate fuori contesto», è stata invece la precisazione della stessa Rusada.

Sullo sfondo riecheggiano i rumori di una guerra fredda a cinque cerchi tra Mosca e Washington. Perché se le nuove accuse alla Russia arrivano direttamente da un giornale statunitense, erano stati degli hacker moscoviti a penetrare a metà settembre nei database della Wada fino a trovare quelle che secondo loro erano «le prove dell'uso di sostanze proibite da parte di numerosi atleti americani», come le sorelle del tennis Serena e Venus Williams, la ginnasta Simone Biles (vincitrice di quattro ori a Rio) e la star del basket Elena Dalle Donne. Accuse che la Wada aveva smontato punto su punto. Ora la nuova puntata.

Che non sarà l'ultima.

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