Uno degli ultimi irriducibili. Uno dei più spietati. Uno dei più noti. Ha deciso di collaborare con la giustizia a 70 anni compiuti Francesco Schiavone, alias «Sandokan», boss indiscusso del clan dei Casalesi. La notizia circolava da giorni nel Casertano, mentre nel sottobosco della giustizia qualcosa già si muoveva da tempo: qualche settimana fa il boss, che avrebbe un tumore, era stato infatti trasferito dal carcere di Parma a quello dell'Aquila per avere la possibilità di curarsi nell'ospedale San Salvatore, proprio come avvenuto per il capomafia Matteo Messina Denaro, deceduto lo scorso settembre proprio nel capoluogo abruzzese.
Ieri, però, è arrivata la conferma dalla Dda di Napoli: dopo 26 anni da detenuto in regime di carcere duro, il capo della camorra autoctona di Casal di Principe si è pentito. Secondo le prime indiscrezioni, proprio dalla sua cella, Sandokan avrebbe fatto pervenire una richiesta di incontro ai magistrati della Direzione Nazionale Antimafia - oggi guidata dal procuratore Giovanni Melillo - per avviare i primi colloqui per la collaborazione con la giustizia.
Nel frattempo nelle scorse ore le forze dell'ordine si sono recate nel feudo dei Casalesi (nomen omen) per proporre ai parenti del capoclan, tra cui il figlio Ivahnoe, di entrare nel programma di protezione. Ma i suoi familiari avrebbero preso le distanze dalla decisione di Schiavone decidendo di non aderire. Un'azione forte e (non solo) simbolica. E nonostante la storia recente della famiglia Schiavone sia ormai costellata da pentimenti: nel 2018 il primogenito Nicola aveva già fatto la stessa scelta, tre anni dopo si convinse anche il secondogenito Walter - arrestato nel 2017 dopo che erano incappati nella stessa sorte i fratelli Nicola, Ivanhoe, Emanuele e Carmine.
Per la giustizia lo status di collaboratore concesso a Schiavone - come successo dieci anni fa per il superlatitante Antonio Iovine «'o Ninno», è una moneta di scambio imperdibile per riuscire a svelare segreti importantissimi del clan dei Casalesi e risolvere casi finora rimasti avvolti nel mistero. «Sandokan» ha infatti retto la cosca per molti anni assieme agli altri tre boss Antonio Iovine, Francesco Bidognetti e Michele Zagaria e dai suoi racconti potranno emergere anche complicità e rapporti col mondo dell'imprenditoria e della politica che per anni ha sostenuto i gruppi criminali di Casal di Principe.
La notizia per certi versi clamorosa - arrivata a pochi giorni dal 30º anniversario dell'omicidio del prete anti-camorra don Peppe Diana - è stata accompagnata da un'onda di reazioni. Tra queste quella della stessa sorella di don Diana, che con amarezza ha commentato: «Un pentimento po' tardivo, ma anche loro hanno una coscienza».
E mentre l'associazione antimafia Libera auspica che Schiavone parli anche del «traffico illecito di rifiuti» che l'ha reso di fatto il precursore dell'«ecomafioso», la politica bipartisan esulta al suon del mantra «lo Stato trionfa sulle mafie».
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