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Le sanzioni alla Russia e il suicidio dell'Italia

Siamo i primi a congelare i beni di un imprenditore amico di Putin Uno zelo assurdo. Che a pagare carissimo saremo soprattutto noi

Le sanzioni alla Russia e il suicidio dell'Italia

Un altro passo verso il suicidio assistito. Complimenti. Ci stiamo distinguendo per lo zelo con cui stiamo applicando le sanzioni contro Mosca. Noi, che siamo il secondo partner commerciale della Russia, con un interscambio che sfiora i 27 miliardi di euro ed esportazioni che nel 2013 hanno toccato gli 11 miliardi, abbiamo scelto l'eutanasia.

Gentilmente assistiti dall'amico Barack Obama, novello Dottor Morte, allarghiamo il solco, tracciato lo scorso 10 settembre con il via al nuovo embargo, che ci separa dai russi. Per la prima volta, infatti, in Italia sono stati congelati i beni di un magnate russo inserito nella “black list” di 119 persone. La Guardia di Finanza ha sequestrato gli immobili di Arkadij Rotenberg, amico del presidente Vladimir Putin, mettendo i sigilli a tre ville e a un appartamento in Sardegna, a una villa a Tarquinia e a un hotel nel centro di Roma, per un valore di circa 30 milioni di euro. «Sono sorpreso che si tratti di immobili, che non ricadono sotto le sanzioni - è stato ieri il commento di Rotenberg -. Ciò prova ancora una volta l'assurdità e l'illegittimità della situazione».

Al di là dal valore economico dell'operazione, quello che pesa davvero è il suo significato politico, con le inevitabili conseguenze nelle relazioni con Mosca. Siamo un Paese a terra, inutile nasconderlo. La nostra crescita economica è da mesi sottozero e queste sanzioni si stanno rivelando un boomerang. Tanto più che a pagarne il prezzo più alto sono proprio i Paesi con una fragile congiuntura. Guarda caso, siamo i primi della lista. Certo, tutti piangono per gli affari che sfumano, ma chi in questo momento è in ginocchio non ha altre strade se non quella di chiedere l'elemosina o di chiudere baracca. Ne sanno qualcosa le aziende italiane, le prime a essere colpite dalla scelta scellerata di andare al muro contro muro con Mosca. A guardare i numeri viene la tremarella. Secondo le prime stime, la «guerra» a Putin è costata all'Italia circa 2,5 miliardi di euro. E a farne le spese ci sono imprese di tutti i generi, dal lusso agli alimentari. Questi ultimi sembrano i più penalizzati. Lo scorso anno l'export era di circa 440 milioni di euro, con prodotti che hanno come mercato principale proprio quello russo, come il Parmigiano Reggiano. Ebbene, secondo la Coldiretti i danni hanno raggiunto quota 217 milioni, con 54 categorie di prodotti (tra cui ortofrutta, pasta e carni) che sostenevano l'arrancante economia italiana. Naturalmente Bruxelles ha messo in piedi un piano di emergenza per sostenere il settore, ma i soldi a disposizione sono una briciola rispetto al danno effettivo.

Questo botta e risposta di misure tra Occidente e Russia non risparmia gli altri settori sensibili della nostra economia. Mosca ha anche bloccato le esportazioni di pelli conciate, necessarie alle nostre aziende di abbigliamento e accessori e non è escluso, vista la sollecitudine con cui «puniamo» gli interessi russi in Italia, che Putin irrigidisca le contromisure colpendo la nostra esportazione di macchinari, prodotti chimici, moda e arredamento. Diventerebbe una Caporetto da 10 miliardi di euro: basti pensare che solo nel settore moda e accessori l'Italia ricava quasi un miliardo dall'export con Mosca.

Siamo davanti a uno scenario poco confortante. La tensione, invece di stemperarsi, continua a salire, mentre in Ucraina il «poco credibile» accordo di cessate il fuoco tiene, se si escludono sporadici episodi. E allora perché l'Unione europea non ha ancora revocato le sanzioni? Nel vertice del 10 settembre i leader europei, Germania e Italia in testa, avevano subito messo le mani avanti, affermando che, se la tregua ucraina fosse stata rispettata, sarebbe stato allentato e poi revocato l'embargo contro Mosca. Tutto ciò non è accaduto. Anzi, sembra stia aleggiando il folle retro pensiero che la Russia possa essere piegata dalla linea dura dettata da Obama. Beato chi ci crede.

Così, mentre l'Italia, e non solo, se la fa sotto, Putin non dimostra alcun timore per le sanzioni europee, visto che ha già trovato i fornitori che ci rimpiazzeranno. Come l'Argentina per le carni o Cina, Israele, Egitto, Turchia e altri ancora per i prodotti agricoli. E non sottovalutiamo le armi, economiche per ora, che ha ancora nel fodero: dallo stop alle missioni spaziali congiunte al divieto di sorvolo dello spazio aereo russo, per non parlare della chiusura dei rubinetti energetici. Ed è proprio lo spettro energetico a fare più paura: i primi segnali di allarme sono già arrivati quando, pochi giorni fa, sono calate misteriosamente le forniture di gas in Slovacchia e in altri paesi dell'Est Europa. Se ciò avvenisse, sarebbe un disastro per l'Italia, il cui fabbisogno dipende per circa il 25% dalla Russia. Un quadro improbabile, almeno per ora, anche perché le vendite di gas e petrolio rappresentano per Mosca un'entrata irrinunciabile.

Diventa perciò indifferibile allentare la tensione e trovare uno straccio di accordo sul futuro dell'Ucraina. Magari rileggendo la storia recente, senza far finta di non vedere quali decisioni l'America e l'Europa hanno preso nell'ex Jugoslavia per soddisfare le spinte indipendentiste.

A volte contro il diritto internazionale e le risoluzioni dell'Onu.

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