Rosso Malpelo

Una sceneggiata degna di un Oscar

I funerali di Vittorio Casamonica hanno ridicolizzato tutti

Una sceneggiata degna di un Oscar

Sono andato a scartabellare memorie di storia e di cronaca, anche su internet: nulla di simile era mai accaduto a Palermo, a Napoli, a New York, non parliamo di Roma. La musica in piazza con un riferimento mafioso, ma filmico, come quello del Padrino o la musica di Strauss usata da Kubrick per 2001 Odissea nello Spazio . Non parliamo dell'elicottero rosa che sparge petali rosa, o della ricerca d'antiquariato di vecchie carrozze napoletane con gli angeli neri e i vetri sfumati. In passato abbiamo visto i mammasantissima riuniti intorno a un feretro di rispetto, abbiamo udito parole losche contro magistrati e poliziotti, ma la banda con l'elicottero, francamente no, mai. Dunque, questi funerali sono stati pensati e prodotti come quel genere di opere d'arte talvolta scioccanti e odiose che si chiamano installazioni. L'intero funerale è stato un'installazione e il fatto che ancora se ne parli, ne parliamo, ne scriviamo, ci indigniamo, ne traiamo considerazioni per lo più scontate, significa che i registi o, se preferite, i turpi registi dell'evento sono riusciti a fare esattamente ciò che si proponevano: creare un tremendo shock comunicativo da imbarazzo e quindi da impotenza.

E, infatti, le autorità si sono esibite in facce di circostanza e hanno assunto atteggiamenti intransigenti. Verso che cosa? Verso una messinscena. La messinscena è fatta di particolari di per sé innocenti che, messi insieme, costituiscono la scena del crimine. È forse vietato lanciare petali? O suonare musiche di Rota? O di Strauss? O riportare alla luce vecchi feretri e finimenti per cavalli neri col pennacchio? Onestamente, dov'è il reato? Il reato è nel valore proiettivo di questa messinscena, che ha funzionato come il test delle macchie d'inchiostro di Rorschach o come la trasmissione radiofonica in cui Orson Welles terrorizzò l'America con la cronaca dell'arrivo dei marziani. Nulla di questo grottesco funerale rientra in alcuna tradizione, tutto rimanda allo spettacolo di un'installazione e alla finzione cinematografica. Del resto non è forse Cinecittà a un passo dal piazzale Don Bosco?

Qualcuno nomini dunque una commissione che assegni un riconoscimento cinematografico ai registi del funerale di Vittorio Casamonica, re di Roma, mezzo papa e mezzo padrino, zingaro (non una goccia romana nel suo sangue), karaokista di Frank Sinatra, cialtrone naturale, usuraio, spacciatore, uomo di racket. L'incredibile evento è stato non meno clamoroso delle conseguenze che ha generato. Alcuni dei più sgangherati articoli di tutti i tempi sono stati spacciati in carta e video in aperta gara con il pessimo gusto che i registi del funerale hanno saputo mettere in scena tra palazzi razionalisti e impassibili come quadri di de Chirico. La provocazione ha germogliato subito i suoi primi frutti: il sindaco di Roma, dall'estero, emetteva fulminanti banalità, mentre il ministro dell'Interno intimava al prefetto un rapporto immediato non si sa se sulla scelta delle musiche o sulla grafica dei manifesti. Insomma, è ora che lo si ammetta: l'installazione o, se preferite, la scenografia, ha funzionato.

Il mondo ufficiale governativo e non soltanto, non è stato in grado di riconoscere uno dei più vecchi trucchi dei film di Cinecittà: quello del centurione romano con l'orologio al polso, oggi alla guida della Rolls Royce del ridicolo padrino di borgata.

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