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"Sciiti e sunniti si odiano da 14 secoli. Ma entrambi armano il fondamentalismo"

L'esperto: «La destituzione di Saddam e le primavere arabe hanno scatenato gli integralismi. Attentato inutile perché il Paese è stabile e ha risorse. Però...»

"Sciiti e sunniti si odiano da 14 secoli. Ma entrambi armano il fondamentalismo"

Massimo Campanini è uno dei massimi esperti della storia del Medio Oriente (tra i suoi titoli ricordiamo Storia del Medio Oriente contemporaneo, Ideologia e politica nell'Islam, Il pensiero islamico contemporaneo e I sunniti, tutti pubblicati per la casa editrice Il Mulino). Gli abbiamo chiesto una riflessione, a partire dalla storia, sugli attentati in Iran, Paese a maggioranza sciita, rivendicati dall'Isis, braccio armato dell'estremismo sunnita più violento.

Professor Campanini come nasce la divisione tra sunniti e sciiti?

«È nata come una divisione politica relativa alla successione come guida dell'Islam dopo la morte di Maometto, nel 632 dopo Cristo. Su questa divisione politica si sono innestati nel tempo una serie di motivi teologici che hanno portato a due visioni dell'Islam piuttosto differenti. Queste due visioni sono state poi più e più volte strumentalizzate a fini politici. Come nello scontro tra il Califfato abbaside e il Califfato dei fatimidi in Egitto, durante il medioevo».

Al giorno d'oggi a far riprendere lo scontro è stata la frammentazione dell'Irak?

«L'Irak è un Paese molto diviso al suo interno, eterogeneo anche dal punto di vista religioso. La dittature di Saddam Hussein aveva imposto, col pugno di ferro, una forma di stabilizzazione. L'invasione del 2003 ha scoperchiato un vaso di Pandora, creando le condizioni, un humus adatto, perché i virus del radicalismo si potessero spargere in tutto il Medio Oriente. Il fallimento delle primavere arabe ha fatto il resto».

Perché Isis ha deciso di colpire proprio in Iran?

«Ovviamente l'Iran sciita è un rivale geopolitico di molte delle potenze e delle forze sunnite dell'area. Quindi è un potenziale bersaglio. Il regime iraniano però è stabile e con molte risorse. Non è pensabile che un attacco del genere abbia davvero effetti destabilizzanti».

Potrebbero aver fatto leva sulla minoranza sunnita del Paese?

«Bisognerà vedere quando si avranno dati più chiari sull'attentato. Tenga presente, però, che la minoranza sunnita in Iran è tutta localizzata vicino al confine con il Pakistan o l'Afghanistan. Mi pare difficile sia coinvolta. Detto questo esistono anche tensioni interne al sistema politico iraniano che non vanno sottovalutate. Viviamo in un mondo in cui non è detto che ogni rivendicazione vada immediatamente presa per buona la situazione nell'area è complessa».

I Pasdaran e alcuni politici iraniani nonostante la rivendicazione di Isis hanno subito puntato il dito contro Usa e Arabia Saudita... Perché?

«L'Arabia Saudita non è senza colpe nel suo appoggio a gruppi Jihadisti come al-Nusra o ai talebani, o altri movimenti sunniti oltranzisti. Eppure nell'area ha sempre goduto dell'appoggio incondizionato degli Usa ed è in competizione diretta con l'Iran. Barack Obama ha, in parte, provato a bilanciare le cose, ma è ovvio che gli iraniani, sempre accusati di fomentare gruppi terroristici, facciano in questo caso un po' di propaganda. L'attentato è la prova provata che non li si può considerare come gli unici fomentatori di terrorismo».

Ma quanto è sentita tra i musulmani comuni la frattura tra sciiti e sunniti?

«Molti islamici non credo siano in grado di apprezzare le differenze dottrinali tra le due correnti. Certo gli sciiti hanno sviluppato una sorta di coscienza di minoranza oppressa, e questo conta.

Ma queste rivalità diventano incendiarie solo quando qualcuno, strumentalmente, le attizza».

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