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Se la Gran Bretagna odia le donne e la maternità

Se la Gran Bretagna odia le donne e la maternità

Le ultime notizie in arrivo dalla Gran Bretagna fanno pensare che gli inglesi hanno un problema storico e irrisolto con le donne e la maternità. Il governo, riporta il Sunday Times, chiede che le donne non siano nominate in un documento Onu con il termine «donne incinte» e fa sapere che è meglio dire «persone incinte», per non discriminare la comunità transessuale.

Dai tempi della clonazione della pecora Dolly gli inglesi hanno fatto parecchi passi avanti. Si sono dimostrati entusiasti della possibilità di creare embrioni con il materiale genetico di 3 o 4 adulti diversi e nell'ambito della ricerca di realizzarne usando in laboratorio spermatozoi umani e ovuli di mucca. Le leggi britanniche sono state sempre liberali fino alla generazione d'inquietanti controsensi. Per le donne, laicamente, ottenere una pratica abortiva è molto più semplice che negli altri paesi. Poi scoprirono con un censimento che alla numerosa comunità asiatica del loro paese fu concessa la pratica dell'aborto selettivo. A 5000 bambine, solo perché femmine, e con il consenso di giudici e medici, fu impedito di venire alla luce. La direttrice di una grande clinica abortiva spiegò che se il neonato perché di sesso femminile mette in pericolo la salute mentale della madre, il medico agisce all'interno della legge, e che bene fece il Procuratore generale inglese a non perseguire chi aveva acconsentito alla richiesta delle donne. Se una bambina non è gradita alla madre, al marito, alla famiglia d'origine, potrebbe non avere un'adeguata qualità della vita. E' di poco tempo fa la decisione di far utilizzare una divisa unisex a maschi e femmine e di rendere facoltativa, nel prossimo censimento, la domanda sul sesso di appartenenza, stavolta per non discriminare le identità fluide, a volte maschi, a volte femmine, a volte non si sa. Appena sarà realizzato l'utero artificiale, gli amici inglesi, potranno eliminare le donne, a meno che non accettino di alienare il ruolo femminile relegandolo a quello della donatrice di cellule, e sarà la fine della maternità naturale. Peccato che la letteratura scientifica, a partire da un inglese, John Bowlby, ci stia dicendo a gran voce che è proprio quel particolarissimo e fortissimo rapporto psicologico e affettivo tra madre e bambino, già in fase prenatale, a costituire la base perché nell'adulto ci sia una buona capacità d'adattamento, che vuol dire buona qualità degli affetti e delle relazioni, cioè della vita.

Il rischio sarà di creare bambini con assetto mentale alterato, non proprio umano.

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