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Se il Papa abbraccia un falso uomo di pace

Aperta in Vaticano l'ambasciata di un Paese che non esiste e dove si vessano i cristiani

Se il Papa abbraccia  un falso uomo di pace

Dopo lo stupefacente successo di pochi giorni fa all'Onu con la supervisione oculata di Obama, è difficile sottrarsi alla sensazione che la visita di Abu Mazen da Papa Francesco sulla strada per Parigi dove partecipa oggi alla Conferenza voluta dal presidente Hollande cui sono invitati più di 70 ministri degli esteri all'evidente scopo di mettere Israele all'angolo, non sia parte della medesima passeggiata trionfale per cui si sono mobilitati molti leader occidentali.

Perché per quanto si sventolino le bandiere della pace e della lotta al terrorismo, un'occhiata anche superficiale alla politica di Abu Mazen rende molto difficile pensare che papa Francesco possa credere, se ha dei consiglieri informati, di avere abbracciato ieri l'uomo della pace in Medio Oriente. Di più: che sia un gesto utile quello fatto ieri di aprire un'ambasciata della «Palestina» in Vaticano. Un Paese che per ora non esiste è stato riconosciuto con i crismi della diplomazia, mentre per riconoscere Israele ci sono voluti quasi cinquant'anni e la grande coscienza europea dolente di papa Giovanni Paolo.

Dunque Abu Mazen nell'ambito di un'offensiva diplomatica a 360 gradi ha varcato ieri le soglie del Vaticano, ha ricevuto abbracci e doni e la garanzia che il Papa vede la Palestina come uno Stato già formato e Abu Mazen come un personaggio da sostenere, un capo di Stato. Ma il Papa, che è uomo di esperienza, sa bene di che Stato si tratta: Abu Mazen domina il suo popolo col pugno di ferro dal 2005, le elezioni si sarebbero dovute tenere nel 2009 e invece si sono perse di vista, nessun Paese moderno e democratico potrebbe sopportare il regime di milizie che domina i territori palestinesi. Il ministro degli esteri Angelino Alfano, anche lui incontratosi ieri con Abu Mazen, ha vantato il dono dell'Italia di 240 milioni dal 2005 in aiuti, ma è stato sempre impossibile verificarne a fondo l'autentico utilizzo, mentre la ricchezza della leadership palestinese è nota e ostentata.

La parola d'ordine sullo sfondo della visita è stata «pace» e lo slogan «guerra al terrorismo»: ma è impossibile credere a Abu Mazen come autentico sostenitore della guerra al terrore. Si possono, certo, riportare le citazioni del suo ufficiale cordoglio per le stragi dei camion di Nizza e di Berlino, ma niente del genere si è avuto per il camion di Gerusalemme. La società palestinese è impregnata dell'impronta filo terrorista datagli prima dalla politica di Arafat e poi da quella di Abu Mazen.

Altrettanto necessario quanto una vera richiesta di impegno di pace contro il terrorismo da parte del Papa, sarebbe stata una verifica migliore delle intenzioni palestinesi verso i cristiani: i rapporti sono drammatici anche se Abu Mazen va alla messa di Natale a Betlemme: qui i pochi superstiti (dall'86 per cento negli anni Cinquanta a circa il 10 per cento oggi) raccontano pesanti discriminazioni specie verso le donne. Tanti cronisti, fra cui la sottoscritta, ne hanno raccontato in presa diretta. È una storia che la Chiesa conosce bene.

E tuttavia ha mandato Abu Mazen a Parigi con una nuova medaglia. Perché?

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