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Se lo sport si inginocchia ai regimi

Se lo sport si inginocchia ai regimi

È l'inchino alla Schettino dello sport innanzi ai regimi. Un inchino sguaiato, sgradevole, pavido che sta purtroppo accomunando gli attori di due discipline globali. Un inchino diventato doppio inchino nell'arco di una sola settimana, prima nel basket e poi nel calcio, e che stasera, a Parigi, allo Stade de France, partita di qualificazione agli Europei tra i campioni del mondo transalpini e la Turchia, potrebbe replicarsi e rinnovarsi.

È trascorsa solo una manciata di giorni da quel cinguettio, «lotta per la libertà, siamo con Hong Kong», firmato dal general manager Nba degli Houston Rockets, Daryl Morey, che esprimendo il proprio appoggio ai giovani da mesi in piazza contro la Cina aveva scatenato l'ira di Pechino. Un'uscita all'insegna della libertà di espressione costituzionalmente garantita dal primo emendamento ma incostituzionalmente negata dalla legge non scritta dello sport. E del business. Sono infatti giorni che la potente Nba e giocatori miliardari e manager di alto e medio profilo preoccupati dai molti e troppi interessi del basket Usa con la Cina si prostrano e subiscono le ritorsioni del gigante d'Oriente. Per fortuna, ora la misura sembrerebbe però colma: Adam Silver, commissioner della Nba, ha finalmente alzato un poco la testa, sbottando: «Ci sono valori che fanno parte di noi, fra questi la libertà di espressione».

Accadrà la stessa cosa stasera allo Stade de France quando la squadra della Turchia, come accaduto venerdì contro l'Albania, farà il saluto militare in supporto all'invasione della Siria da parte delle forze armate di Ankara? O l'Uefa, e quindi l'Europa sportiva, ripeterà il triste inchino del far finta di non vedere? Venerdì era successo, «nessuna presa di posizione», avevano fatto sapere. Questo in attesa di scoprire se anche i nostri club decideranno di inchinarsi innanzi a una guerra e un'invasione. I cinguettii di sostegno all'offensiva contro i curdi di alcuni giocatori turchi come lo juventino Demiral o il romanista Under ci sono già stati. Com'è lontano Enes Kanter, il campione turco dei Boston Celtics che da anni denuncia le violazioni dei diritti umani nel suo Paese e per questo Ankara ha inserito nella lista dei terroristi.

«Io» ha ripetuto l'altro giorno, «io non posso stare in silenzio».

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