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Se Tienanmen fa ancora paura 27 anni dopo

Sono passati 27 anni, ma la ferita rimane aperta

Se Tienanmen fa ancora paura 27 anni dopo

Sono passati 27 anni, ma la ferita rimane aperta. Tienanmen, la piazza in cui il 4 giugno 1989 i militari schiacciarono l'unica seria rivolta nella storia della Repubblica Popolare, facendo da 300 a 2.000 morti (la cifra esatta non si saprà mai), rimane una parola proibita per il governo cinese, che anche ieri ha soffocato sul nascere i pur timidi tentativi di ricordare l'anniversario. I social media sono stati messi sotto censura, gli accessi alla piazza e perfino al cimitero dove sono sepolte alcune vittime severamente controllati e l'ufficioso Global Times ha scritto che «il 4 giugno è un giorno qualsiasi e i cinesi vogliono lasciarselo alle spalle». Numerosi potenziali dissidenti sono stati fermati la vigilia o spediti «in vacanza», quattro attivisti che erano riusciti ad arrivare sul luogo del massacro e fotografarsi indossando magliette con la scritta «4 giugno, mai dimenticare Quando il governo teme il popolo, allora arriva la tirannia» sono stati arrestati, due ristoratori che hanno esposto in vetrina nel Sichuan una bottiglia di un nuovo liquore con l'etichetta «4 giugno, mai dimenticare, mai arrendersi» sono stati messi sotto accusa. Altri sei dissidenti che avevano osato organizzare una «commemorazione privata» dell'evento sono finiti in carcere per avere «fomentato tensioni» e due noti personaggi dell'opposizione, l'ex segretario di quel Zhao Ziyang che si era opposto alla repressione e la nota giornalista Gao Yo sono momentaneamente spariti. Inutile dire che l'annuale petizione dei genitori delle vittime perché cessino le persecuzioni di cui sono vittime da un quarto di secolo è stata puntualmente ignorata. Tutto, insomma, è stato fatto perché la memoria della strage venga cancellata. Pechino, peraltro, non è riuscita a bloccare il raduno di oltre centomila persone al Victoria Park di Hong Kong l'ex colonia inglese che per 50 anni mantiene uno statuto speciale che chiedevano la cancellazione delle condanne per le vittime dell'eccidio e l'instaurazione della democrazia in Cina, e tanto meno la commemorazione dell'evento da parte del Parlamento di Taiwan, dove il partito favorevole all'indipendenza ha di recente vinto le elezioni. Il governo cinese si è limitato a ignorarle, come ha ignorato un invito di Washington a mettere fine alle persecuzioni e alla censura. La quasi ossessiva sensibilità di Pechino sul tema è sicuramente connessa con il momento di difficoltà che la Cina attraversa, non solo sul piano economico, ma anche su quello internazionale. La sua aggressività nel Mar Cinese Meridionale, su cui pretende di esercitare un controllo quasi esclusivo, costruendovi anche una serie di isole artificiali, le ha alienato buona parte dei vicini, che hanno cercato protezione sotto le ali dell'America; e sia Hong Kong, sia Taiwan sembrano resistere con più energia del passato ai suoi sforzi di cancellare definitivamente l'eredità del passato coloniale.

In parallelo, l'autorità di Xi, che pareva destinato a diventare il leader più potente dopo Mao, ha cominciato a essere erosa.

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