Moda

Un secolo di Colmar. La quarta generazione si fa in tre per volare

Tre cugini raccontano il marchio fondato nel 1923 Sono Stefano, Roberta e Riccardo. Storia di un'azienda nata tra neve e ghiaccio e ora alla conquista delle città

Un secolo di Colmar. La quarta generazione si fa in tre per volare

Sono cugini e fieri di esserlo, la quarta generazione di una famiglia che da 100 anni esatti fa onore all'Italia dando lavoro a circa 350 persone.

Fondata il 31 ottobre 1923 a Monza, la Colmar produce con successo abbigliamento tecnico sportivo da sci e per le nuove esigenze del cosiddetto lifestyle urbano. È una storia che non ha fine.

Stefano Colombo, 36 anni, è entrato in azienda nel 2010 e oggi è sales & marketing manager.

Sua cugina Roberta, 30 anni, prima si è laureata in Ecomomia alla Cattolica di Milano e poi ha cominciato a lavorare sotto la guida del padre Giulio, ceo e responsabile del prodotto. Oggi è product merchandising manager di tutte le linee della Colmar.

Infine c'è riccardo Vago, 28 anni, uno che fin da piccolo sognava di lavorare qui e si è coscienziosamente preparato laureandosi come sua cugina in Cattolica e poi facendo due master in sales & retail negli Stati Uniti oltre a un semestre alla Boston University. Attualmente si occupa della rete retail di Colmar che vanta 10 negozi diretti più uno in apertura nel nuovo centro commerciale di Cascina Merlata, 7 in franchising tra Francia, Austria e Italia oltre a 5 outlet. Parlare con loro significa gettare uno sguardo dal ponte sul futuro.

Colmar ha una specifica competenza nell'abbigliamento da sci, eppure vi state specializzando anche in altri settori, perché?

Roberta: «Abbiamo lanciato la linea Originals perché ci sono nuove esigenze urbane. Nelle grandi città tipo Milano, Roma o Parigi sono ormai tantissimi quelli che si spostano in moto, bicicletta o monopattino piuttosto che in macchina. Se piove basta avere un capo realizzato con tessuti e accorgimenti tecnici per non bagnarsi. Allo stesso modo da un paio di stagioni abbiamo cominciato a produrre delle collezioni da sci più minimal, con capi sempre tecnici e performanti, ma utilizzabili in tante situazioni diverse. Anche questo è un modo per entrare nella sostenibilità. Non vogliamo più fare un capo che ad andar bene puoi usare 10 volte l'anno sui campi da sci. È una tendenza importante che in America viene chiamata Gorpcore».

Vi è mai venuta la tentazione di entrare nel mondo delle sfilate e del lusso come ha fatto Moncler?

Stefano: «A Livello di insegnamento e filosofia familiare cerchiamo di fare sempre dei passi sostenibili tanto finanziariamente quanto dal punto di vista progettuale. Nel nostro segmento siamo molto credibili: abbiamo alle spalle 100 anni di storia. Nel mondo della moda e del lusso è tutto da vedere. Per cui la nostra strategia è accompagnare i consumatori verso un livello più alto di ricerca e qualità delle proposte di Colmar, ma stiamo ben attenti a non volare come Icaro troppo vicino al sole, alle nostre ali ci teniamo».

Però state collaborando con il mitico Yosuke Aizawa fondatore di White Mountaineering e per il centenario avete fatto una capsule con Joshua Vides, un artista che ha lavorato anche con Fendi. La moda vi piace molto...

Stefano: «Sì, ogni tanto strizziamo l'occhio. Però Yosuke è una superstar dell'outerwear montano, collaborare con lui significa confrontarsi con il migliore e imparare. Invece Joshua ha una visione estetica giovane e fresca, perfetta per festeggiare il centenario».

Roberta: «Per il centenario non volevamo una cosa troppo agiografica. In famiglia ci hanno insegnato a guardare e rispettare il passato senza mai perdere di vista il futuro».

Certo con il clima che c'è adesso non è facile avere uno slogan come In caso di neve. Cosa pensate di fare?

Riccardo: «Potremmo cambiarlo con Speriamo la neve, ma a parte gli scherzi quello slogan non si tocca, fa parte della nostra storia».

Stefano: «Infatti qualche anno fa l'abbiamo rispolverato perché noi abbiamo un legame viscerale con l'elemento neve. Adesso ha un valore identitario, mentre negli anni '80 la pubblicità era più legata al consumismo: se hai un bisogno noi te lo risolviamo».

Roberta: «Inoltre negli anni abbiamo inserito nuove linee e prodotti: dall'abbigliamento per la montagna d'estate e per il golf ai costumi da bagno. Siamo diventati forti anche su tutto ciò che è maglieria e sui dintorni del capospalla su cui abbiamo una specifica competenza».

Quanti capi producete all'anno?

«All'incirca un milione e 200 mila capi. Contando anche i cappellini».

Tutto made in Italy?

«Purtroppo da noi manca proprio la capacità produttiva dei capi tecnici e anche per materiali e componenti bisogna andare nel Far East. Per esempio il più importante produttore di accessori da chiusura tipo zip e fibbie è YKK, una multinazionale giapponese. Insomma siamo made in Italy o meglio in Monza per tutto quel che riguarda idee, sperimentazioni e prototipi. Abbiamo un reparto industrializzazione e un laboratorio per testare materiali e prestazioni dei capi che ci permettono di fare da qui i più severi controlli di qualità».

Quale è il vostro sport preferito?

Stefano: «Scendere all'alba su una pista libera e ben innevata mi porta quasi al nirvana. Però amo molto anche tennis e golf».

Riccardo: «Sciare mi piace tantissimo ma al momento trovo il padel più divertente. Comunque amo lo sport in generale. Ho fatto perfino krav maga (arte marziale nata in Israele, ndr) ma ho dovuto smettere per un problema al polso».

Roberta: «Scio con passione da tanti anni ma mi piace sperimentare tanti sport tra cui il wakeboard che è lo sci d'acqua con la tavola. Per tenermi in forma e scaricare le tensioni faccio boxe kickboxing».

Com'è lavorare tra cugini?

«Facile, ci conosciamo da sempre, abbiamo le stesse origini e un interesse comune che è la Colmar».

Domanda per Roberta: com'è essere l'unica donna della famiglia nel pool manageriale dell'azienda?

«Non sono l'unica, la zia Laura, mamma di Riccardo è nel consiglio di amministrazione. Comunque penso che il cervello non abbia sesso e che le opportunità debbano essere uguali per tutti. Ho anche fatto la tesi di laurea sul gap retributivo tra uomini e donne, un tema scottante dei nostri tempi».

Domanda per Riccardo: com'è essere il più giovane?

«So di avere ancora tanto da imparare».

Stefano e per te essere il maggiore?

«Non ci penso mai. Abbiamo avuto la grande fortuna di ereditare un contesto e una struttura che mantengono una certa solidità anche nei momenti difficili che il mondo ha appena passato e che sta affrontando in questo momento. Partire da un simile privilegio significa anche assumersi delle responsabilità e rispettare i principi di chi era prima di te, ma anche i sogni di chi è arrivato dopo».

A proposito di sogni, i vostri quali sono?

Roberta: «Vorrei crescere in maniera tale da poter offrire sempre più benefit e sicurezze alla famiglia Colmar che non siamo solo noi tre e i nostri cari, ma tutti quelli che lavorano con noi. Nelle aziende del nord Europa hanno delle strutture che aiutano moltissimo le donne ad avere figli senza rinunciare alla carriera. Mi piacerebbe poter offrire qualcosa del genere anche qui da noi».

Riccardo: «A me piacerebbe tanto sbarcare su nuovi mercati, ampliare la nostra rete vendita e consolidarla. Oggi un negozio ti deve restare in testa e offrirti una experience diversa. Altrimenti c'è l'e-commerce che è tutto un altro film. Insomma vorrei capire bene i meccanismi del mio lavoro perché essere innovativi in questo campo è un'assicurazione sul futuro».

Stefano: «Io vorrei aiutarli a realizzare i loro sogni perché significherebbe mantenere e aumentare la sostenibilità positiva della Colmar. I nostri bisnonni hanno fondato l'azienda dopo la prima guerra mondiale e lui è morto nel 1943 lasciando lei a lottare per mantenere in piedi tutto durante la seconda. I nonni hanno affrontato la ricostruzione e quel che ne è seguito.

I nostri genitori ci hanno portato fin qui, tocca a noi preoccuparci del futuro».

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