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Siamo i più vecchi d'Europa. E i giovani i più penalizzati

I 20enni di oggi non cercano più il riscatto sociale. "Ma sono insoddisfatti della loro vita e molto fragili"

Siamo i più vecchi d'Europa. E i giovani i più penalizzati

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Il disagio giovanile fotografato dai dati Istat è ciò che gli italiani stanno perseguendo da decenni, con una serie infinita di politiche di spesa basate sul debito.

I giovani l'hanno capito e perciò il disagio è sempre più diffuso, specie nelle fasce meno fortunate, che non beneficiano di un'educazione solida in famiglia né hanno accesso a scuole che siano almeno degne di tale nome. Gli insoddisfatti e con basso punteggio di salute mentale sono passati in due anni dal 3 al 6%, come spiega Gian Carlo Blangiardo, presidente dell'Istat presentando il Rapporto sul Benessere equo e sostenibile. «Si tratta di circa 220mila ragazzi tra i 14 e i 19 anni che si dichiarano insoddisfatti della propria vita e si trovano, allo stesso tempo, in una condizione di scarso benessere psicologico. D'altra parte, gli stessi fenomeni di bullismo, violenza e vandalismo a opera di giovanissimi, che negli ultimi mesi hanno occupato le cronache, sono manifestazioni estreme di una sofferenza e di una irrequietezza diffuse e forse non transitorie».

I più fortunati, quelli che riescono a conseguire una laurea spendibile, prendono la via dell'estero, dove trovano opportunità lavorative che remunerino il valore. «Ai giovani più istruiti e qualificati è sempre Blangiardo a parlare l'Italia non offre ancora opportunità adeguate. E così le emigrazioni all'estero dei giovani laureati italiani si sono intensificate». Per fornire qualche numero, gli ingegneri laureati all'Imperial College di Londra guadagnano tra 35 e 50mila sterline più benefit all'anno, nel primo anno di impiego. Da noi farebbero uno stage.

Chi non va all'estero emigra al Centro-nord. Il Sud nel 2020 ha perso quasi 22mila laureati. In sostanza, noi investiamo sulla formazione dei nostri ragazzi per poi regalare i frutti agli altri. Perché una simile follia? È semplice. Perché per noi la formazione scolastica e universitaria non esiste per educare i ragazzi, ma per dare lavoro a insegnanti e altro personale non didattico. Ne siamo talmente e visceralmente convinti che subito i media si sono aggrappati alla spesa pubblica per istruzione, il 4,1% del Pil, inferiore di 0,8 punti alla media UE del 4,9. Il messaggio è chiaro: dateci più soldi e risolviamo il problema. Ora, con la prima università italiana, il Politecnico di Milano, al 134esimo posto nel mondo, davvero vogliamo credere che quattro spiccioli di PIL in più risolverebbero il gap? No, bisogna mettere al centro la qualità della didattica, con aggiornamento e supervisione periodica sui programmi e sulla capacità di insegnamento dei professori. Invece di assicurare ai figli una formazione eccellente abbiamo provveduto a garantirli con una casa di proprietà.

Insomma, ce la siamo cercata. I ragazzi degli anni '70, cresciuti senza lo spirito di sacrificio dei genitori, sono entrati nella società con l'ambizione di godersela, costi quel che costi. È costato un debito crescente e impossibile da rimborsare. Eccolo l'investimento sui giovani: mangiare la ricchezza che avrebbero dovuto produrre, imponendogli se non di restituirla quanto meno di pagare gli interessi. Fregare i nostri figli: forse l'unica vera politica di lungo corso e di unità nazionale, senza deviazioni né da destra né da sinistra. Due esempi, uno per parte: quota 100 e il reddito di cittadinanza. Rivolti a favorire non i giovani ma chi mette una scheda nell'urna elettorale.

E chi vuoi che siano, in un Paese di vecchi che si compiace di sfondare il record dei centenari? Vivere a lungo è bellissimo, ma una società che guardi al futuro a un certo punto gli deve togliere il volante, cioè l'elettorato attivo.

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