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Un sindacalista egiziano: "Così ho tradito Regeni"

Il capo degli ambulanti era un informatore dei servizi: "Faceva troppe domande, l'ho consegnato al governo"

Un sindacalista egiziano: "Così ho tradito Regeni"

«Faceva troppe domande». E ancora «sì, l'ho denunciato e l'ho consegnato agli Interni. Ogni buon egiziano, al mio posto, avrebbe fatto lo stesso». La spirale di menzogne e depistaggi che per undici mesi ha avvolto la verità sulla morte di Giulio Regeni si scioglie in un'ammissione che conferma la principale pista d'indagine degli inquirenti italiani. Ovvero che il ricercatore friulano fosse finito in una trappola, venduto ai servizi segreti egiziani come ciò che non era: una spia. Ed è così che sarebbe stato consegnato nelle mani dei suoi torturatori. Agli «Interni», cioè alla macchina di sicurezza del presidente Al Sisi, il ricercatore friulano è stato «segnalato» da quel Mohamed Abdallah che era a capo del sindacato degli ambulanti, al centro degli studi di Giulio al Cairo. Lo ha ammesso in un'intervista all'edizione araba dell'Huffinghton Post, rilanciata dall'Espresso. L'uomo con cui Giulio aveva intrattenuto i contatti per via delle sue ricerche sugli organismi indipendenti e che nelle annotazioni al pc aveva definito «miseria umana», lo stesso uomo che solo qualche mese fa giurava completa estraneità rispetto a un suo collegamento con gli apparati dello Stato davanti alle telecamere, ora conferma orgoglioso il suo ruolo di informatore dei servizi. Il traditore che ha spacciato il ricercatore come una spia.

«Io e Giulio ci siamo incontrati in tutto sei volte - ha raccontato - È un ragazzo straniero che faceva domande strane e stava con gli ambulanti per le strade, interrogandoli su questioni che riguardano la sicurezza nazionale. L'ultima volta che l'ho sentito al telefono è stato il 22 gennaio, ho registrato la chiamata e l'ho spedita agli Interni». Ovvero tre giorni a prima del sequestro, il 25 gennaio 2016. E ancora: «È illogico che un ricercatore straniero si occupi dei problemi degli ambulanti se non lo fa il ministero degli Interni - continua Abdallah - Quando io l'ho segnalato ai servizi di sicurezza, facendo saltare la sua copertura, lo avranno ucciso le persone che lo hanno mandato qua». Parole che ricalcano le manipolazioni e le storture di questi mesi. Nell'intervista l'allusione a un video consegnato dal procuratore egiziano agli inquirenti italiani in cui Giulio offrirebbe una somma di denaro al sindacalista in cambio di alcune informazioni. Proprio quel denaro avrebbe fatto precipitare la situazione, con l'iniziale promessa del ricercatore di devolvere i 10mila euro che avrebbe ricevuto come sussidio al suo studio, e la successiva marcia indietro e interruzione dei rapporti con Abdallah, una volta scoperto che i finanziamenti esteri ai sindacati indipendenti fossero vietati.

«Siamo noi che collaboriamo con il ministero degli Interni - afferma ancora Abdallah - Solo loro si occupano di noi ed è automatica la nostra appartenenza a loro. Quando viene un poliziotto a festeggiare con noi a un nostro matrimonio, mi dà più prestigio nella mia zona».

I fari puntati sugli apparati di sicurezza dello Stato egiziano sono più accesi che mai.

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