Guerra in Ucraina

"Sotto il Mar Nero 500 mine sovietiche". E Putin fa esplodere la guerra del grano

Gli ordigni rischiano di rendere impossibile la partenza di beni dai porti ucraini. L'Europa si muove per far ripartire l'export di Kiev

"Sotto il Mar Nero 500 mine sovietiche". E Putin fa esplodere la guerra del grano

Centinaia di vecchie mine sovietiche, tra le 400 e le 500 secondo stime di Kiev, sono state disseminate nel Mar Nero e rischiano di essere strappate dalle ancore e di andare alla deriva quando il mare è agitato, rendendo impossibile l'esportazione di merci dai porti ucraini e sempre più concreto lo spettro di una carestia nei Paesi più poveri, dal momento che ci sarebbero 22 milioni di tonnellate di grano bloccate nei silos.

La nuova strategia del presidente Vladimir Putin punta anche alla crisi del grano per capovolgere gli effetti delle sanzioni internazionali e arrivare più forte al tavolo dei negoziati, facendo buon uso della solita propaganda. Per il portavoce dell'amministrazione militare regionale di Odessa, Serhiy Bratchuk, Mosca sta utilizzando un «alibi» incolpando l'Ucraina della crisi alimentare. Come emerso dal colloquio con il premier Mario Draghi, Putin sostiene che i porti sono bloccati perché minati dagli ucraini per impedire alle navi russe di attraccare. Tanto che ieri in una conversazione telefonica con il cancelliere austriaco, Karl Nehammer, il presidente ha sottolineato che l'Ucraina deve sminarli al più presto per consentire il passaggio delle navi bloccate, definendo «infondati» i tentativi di incolpare la Russia per i problemi con le forniture.

Le pressioni internazionali hanno comunque convinto Mosca ad aprire un corridoio attraverso il Mar Nero per le spedizioni di generi alimentari, in cambio di un allentamento delle sanzioni. Intenzione confermata dal cancelliere austriaco, secondo il quale Putin sarebbe disposto ad aprire «corridoi di export sicuri», eventualmente controllati dal segretario generale delle Nazione Unite, facendo comunque dipendere le garanzie di approvvigionamento dalla fine delle sanzioni.

Di questo si è parlato ieri anche nel corso di un vertice trilaterale tra il ministro degli Esteri della Romania, Bogdan Aurescu, quello della Turchia, Mevlut Cavusoglu, e della Polonia Zbigniew Rau. «Abbiamo discusso su come lavorare per realizzare un corridoio per il trasporto di prodotti agricoli dell'Ucraina verso destinazioni terze, e questo corridoio non può ovviamente che includere il mar Nero e gli stretti del mar Nero», ha detto Aurescu in una conferenza stampa congiunta a Istanbul, spiegando che per arrivare alla realizzazione del corridoio sarà necessario lavorare insieme alla Turchia per «proteggere le imbarcazioni commerciali dalle mine galleggianti» nel mar Nero. Intanto entro tre giorni il porto di Mariupol, la città nel sud dell'Ucraina, dovrebbe essere operativo. È stato il leader della Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pushilin, a garantirlo, dopo che giovedì il ministero della Difesa russo aveva annunciato che era stata completamente sminato: «Entro la fine di maggio, sarà in grado di ricevere di nuovo le navi».

Anche l'Europa si sta muovendo per far ripartire le esportazioni dall'Ucraina. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, nella lettera di invito agli Stati membri al vertice Ue della prossima settimana, li ha avvertiti che nel corso dell'incontro si discuterà «di modi concreti per aiutare l'Ucraina ad esportare i suoi prodotti agricoli utilizzando le infrastrutture dell'Ue». «L'aggressione militare russa - ha scritto - rischia di avere un effetto drammatico sulla sicurezza alimentare globale. I prezzi dei generi alimentari sono aumentati e stiamo affrontando seri rischi di carestia e destabilizzazione in molte parti del mondo».

Le accuse della Russia, secondo cui sarebbe responsabilità dell'Occidente e delle sanzioni Ue il blocco dell'export di grano dal Mar Nero, sono state respinte come «falsità» dalla Nato: «Non c'è niente di più falso di questo!», ha detto in un'intervista al Tg3 il vicesegretario della Nato Mircea Geoana, accusando Mosca di «una vera e propria campagna di disinformazione rivolta ai Paesi democratici, in cui si prova a dire che molti dei problemi energetici e di approvvigionamento alimentare, sono da imputare alle sanzioni».

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