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Svezia, rebus sul governo. E Jimmie alza la voce "Dovete parlare con noi"

Åkesson vuole condizionare il nuovo esecutivo Ma il negoziato è tra moderati e centrosinistra

Svezia, rebus sul governo. E Jimmie alza la voce "Dovete parlare con noi"

Il giorno dopo l'ubriacatura emotiva del voto in Svezia, che tanta attenzione e preoccupazione ha suscitato in Europa, i risultati ci danno conto di due evidenze principali. La prima è che l'attesa ondata della destra ostile all'immigrazione e all'Europa è sì avvenuta, ma nella misura di certi tsunami annunciati e temuti come imponenti e che poi arrivano ad altezza ginocchio senza provocare danni; la seconda è che la vera partita politica a Stoccolma sarà giocata dai due blocchi di sinistra e di centrodestra, che si contenderanno guida e poltrone di un governo di coalizione più o meno grande.

E il fatto che il prossimo esecutivo sarà costruito sulla base di una conventio ad excludendum ai danni dei «democratici svedesi» è in sostanza l'unico successo che può vantare il loro leader Jimmie Åkesson, il quale dovrà cercare di investire su una (abbastanza presunta, in verità) nuova rendita di posizione, presentandosi come solida alternativa di sistema a partire dalle prossime elezione europee di maggio 2019.

Appaiono infatti velleitarie le dichiarazioni dello stesso Åkesson, che offre un improbabile dialogo con altre forze politiche: «Il primo che capirà che può parlare con me, capirà anche che questo è il modo più semplice per formare un governo per i prossimi quattro anni», ha detto il leader della destra xenofoba, ricordando però orgogliosamente che il suo partito «ha una lunga lista di richieste da porre in qualsiasi negoziato». In realtà, i suoi 62 seggi sui 349 del Riksdag (il Parlamento svedese a Camera unica) rappresentano un ago della bilancia solo aritmetico, e la convinzione di alcuni osservatori che gli altri partiti non potranno prescindere dal loro peso politico e dai temi caldi della loro propaganda sembra più un timore (o un desiderio, a seconda dei casi) che la realtà.

Questa realtà, il giorno dopo le elezioni, dice che i due blocchi guidati dal socialdemocratico Stefan Löfven e dal moderato Ulf Kristersson sono praticamente appaiati intorno al 40 per cento dei seggi in Parlamento (144 seggi contro 143 per l'esattezza), e che sono quindi obbligati a cercare un compromesso. Ma che certamente lo cercheranno - faticosamente, questo è ancor più certo - tra di loro, senza coinvolgere i populisti di destra che considerano con disprezzo degli «intoccabili».

Le schermaglie sono cominciate subito. Kristersson ha posto come condizione che il premier uscente Löfven - che già nella scorsa legislatura non aveva una maggioranza parlamentare e cercava i voti in aula di volta in volta a destra e a sinistra - rinunci alla pretesa di guidare un nuovo esecutivo. Condizione subito respinta: Löfven pretende che spetti ai socialdemocratici (che sono comunque ancora il primo partito nel Parlamento di Stoccolma avendo superato il 28% dei voti) indicare il premier, ed esclude di offrire appoggio a un governo a guida conservatrice. Sarà insomma certamente una lunga battaglia politica, e un ruolo importante sarà svolto dai cinque partiti minori che potrebbero far pendere la bilancia da una parte o dall'altra.

Un'altra cosa è certa. Il risultato del voto svedese, nonostante il relativo successo dei sovranisti, è stato ricevuto con sollievo a Bruxelles.

Lo dimostra la risposta che il portavoce della Commissione europea ha dato ai giornalisti: «Siamo convinti che il governo che uscirà dal processo elettorale prescritto dalla Costituzione svedese continuerà il suo forte impegno con l'Unione europea».

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