Cultura e Spettacoli

Teatro d'autore e cinema pop Le passioni di un artista totale

Dalle riletture dei classici ai temi cari al grande pubblico. Con la fede cattolica come stella polare

Teatro d'autore e cinema pop Le passioni di un artista totale

Chi vede Camping, esordio nella cinematografia di Franco Zeffirelli nel 1957, stenta a credere che l'autore sia proprio lui, il Maestro Franco Zeffirelli. Una coppia di giovani appena fidanzati (Marisa Allasio e Paolo Ferrari) decide di trascorrere una vacanza. I genitori della ragazza sono contrari, e gli appioppano il fratello (Nino Manfredi) a marcarli stretti, perché non accada l'irreparabile. Il terzetto finisce in un camping, gremito di tedeschi. Appena adocchiano la «maggiorata» (povera ma bella, e soprattutto piena di curve) parte la caccia, con i due ragazzi coalizzati a proteggere la giovane dalle grinfie teutoniche. Ironia, leggerezza, gioventù. Una commedia dell'Italia desiderosa di lavare i panni poveri nel boom economico.

Ma il suo regista, morto ieri a 96 anni, è di altra pasta. Non vuole arrivare dalla commedia all'epica, come Federico Fellini. Né praticare il cinema d'autore, come Michelangelo Antonioni. Né gettarsi nell'impegno civile, come l'amico coetaneo Francesco Rosi. Insieme a Rosi, Zeffirelli è stato assistente di Luchino Visconti sul set di uno dei film italiani più ardimentosi: La terra trema (1948). Il giovane Zeffirelli ha avuto grandi maestri. Luchino per le scene teatrali e per la messa in scena cinematografica. Giorgio La Pira, il «sindaco santo» di Firenze, per la fede cattolica. Da La Pira, Zeffirelli erediterà lo spirito missionario: cristianizzare il cinema, l'arte profana per eccellenza. Da Visconti invece trae il segreto per portare in scena i classici del teatro. Si misura subito con Shakespeare, ed è un grande successo: La bisbetica domata (1967) con gli scalmanati del jet set internazionale Richard Burton e Liz Taylor; e Romeo e Giulietta (1968), che fece scalpore per il fuggevole seno nudo della giovanissima Olivia Hussey, nella stagione in cui le donne cominciavano a buttare il reggipetto.

Dal teatro shakespeariano alla fede. Zeffirelli mette in scena un seducente e poetico Francesco, in Fratello sole, sorella luna (1972), l'esatto opposto del Francesco arrabbiato e sessantottino di Liliana Cavani (Francesco d'Assisi, 1966). E poi realizza il kolossal televisivo Gesù di Nazareth (1977). Quello di Zeffirelli è il più hollywoodiano dei ritratti di Cristo. In tanti ad Hollywood si erano già cimentati (e continueranno a farlo) con il volto di Gesù. Zeffirelli li sovrasta per erudizione, precisione, senso della misura, partecipazione alla storia raccontata.

È il punto di svolta. In positivo e in negativo. Per una frangia consistente della cultura italiana Zeffirelli è il «regista del papa» (Paolo VI, favorevolmente colpito, lodò il film durante l'Angelus domenicale). Giudizio non lusinghiero. Ma il Maestro è un toscano, fiorentino sanguigno. Risponde come sa: lavorando, in una dimensione ormai internazionale. Gira lo splendido Il campione (1979, misurandosi con un mostro sacro come King Vidor, che ne aveva diretto la prima versione nel 1931), Amore senza fine (1981, con Brooke Shields come protagonista), una serie di opere musicali (Pagliacci, Cavalleria rusticana - entrambe del 1982 - La traviata, 1983, Otello, 1986), Il giovane Toscanini (1988) e, soprattutto, Amleto (1990, con un cast stellare: Mel Gibson, Glenn Close e Helena Bonham Carter). Zeffirelli prova anche un doppio confronto con la letteratura: con Giovanni Verga in Storia di una capinera (1993) e con Charlotte Brontë in Jane Eyre (1996). Chiude con due grandi amori. La sua città natale Firenze, ripresa alla metà degli anni Trenta (Un tè con Mussolini, 1999) e Maria Callas, ripresa sul viale del tramonto (Callas Forever, 2002).

Franco Zeffirelli è stato un grande talento al quale il cinema italiano ha saputo dare un supporto limitato. La critica perlopiù si è divertita a sottolineare l'ovvietà e la debolezza intellettuale del suo lavoro cinematografico. Per questa ragione l'opera di Zeffirelli - maltrattata talvolta all'inverosimile - è destinata ad essere considerata con maggior favore nel tempo a venire. Il suo respiro non è stato limitato dalle colline di Firenze né dalla cupola di San Pietro. Ha girato libero per il mondo, nella consapevolezza di rappresentare la tradizione dei grandi artigiani e artisti italiani, costruttori di quelle meravigliose cattedrali sostituite nel Novecento dallo spettacolo cinematografico. Il film per Franco Zeffirelli è stato l'equivalente della cattedrale.

In essa c'è tutto: l'arte e la fabbrica, le miserie umane e la grandezza divina, il peccato e la redenzione, l'uomo e Dio.

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