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Da Teheran a Entebbe: quelli che... gli ostaggi se li andavano a liberare

In Iran nel 1979 gli Usa usarono l'astuzia, e per gli israeliani in Uganda fu un trionfo

Iran 1979, un ostaggio americano nelle mani degli studenti islamici dopo la presa dell'ambasciata
Iran 1979, un ostaggio americano nelle mani degli studenti islamici dopo la presa dell'ambasciata

Non è una questione di attributi fisici. I parà della Folgore, i Carabinieri del Tuscania, gli stessi uomini del Battaglione San Marco, i nostri incursori di Marina non hanno niente da invidiare ai corpi speciali statunitensi, come i Navy Seals. Non è sciovinismo. È che, nel mondo, siamo tra i primi della classe. Sicchè non c'è esercitazione militare congiunta, in ambito Nato, al termine della quale i migliori soldati d'Occidente, turchi e israeliani compresi, non se ne escano con un «Però, gli italiani...!»

Però ricorrere alla forza non si può. Un po' per tutti i motivi che immaginate, e un po' per il fatto che quelli hanno anche la bomba atomica, per dire. Gli attributi che ci mancano, per venire a capo della vicenda senza ricorrere a stravaganti e improponibili guerre stellari sono quelli politici e diplomatici. Ovvero credibilità, peso internazionale, rispetto, che in diplomazia fa rima con timore (delle conseguenze). E noi, ahimè, non facciamo paura a nessuno. Certo, se fossimo stati americani o israeliani, i nostri soldati ce li saremmo portati a casa come gli americani e gli israeliani fecero in Iran, al tempo di Khomeini, e in Uganda, al tempo di Idi Amin Dada. Sarebbe bastato farli scappare col più classico degli espedienti, Girone e il suo compagno facendo come certamente avrebbero fatto una Germania, una Francia: dotando i nostri militari di passaporti falsi e facendoli «filtrare» da una frontiera non sorvegliatissima, diciamo. Poi, di fronte al can can internazionale che certamente gli indiani avrebbero montato, fare come al gioco dello «schiaffo del soldato», dove chi è «sotto» prende un ceffone sul palmo della mano piazzata sotto l'ascella, e deve indovinare chi è il colpevole. Ma gli altri che partecipano al gioco (ne avremmo trovati, senza scomodare capi di Stato) affettano stupore, costernazione, e roteano beffardi il dito in aria come a domandare, sorpresi: «Chi è stato?».

Così fecero gli americani, dopo la rivoluzione iraniana del 1979, con l'operazione Canadian Caper . Ben Affleck, l'attore americano, ci ha fatto un film, «Argo», interpretandovi il ruolo del protagonista, l'agente segreto Tony Mendez. Obiettivo: la liberazione di sei cittadini americani che, durante la «crisi degli ostaggi» (52 erano finiti tra le grinfie degli studenti coranici) avevano trovato riparo all'ambasciata canadese di Teheran. Tony Mendez, l'agente, ha infine l'idea buona. I fuggitivi fingeranno di essere una troupe cinematografica canadese che sta cercando delle location esotiche per la realizzazione di un film di fantascienza. Breve: il piano riesce, e i sei se ne tornano a casa lasciando gli islamici con un palmo di naso.

Menare le mani come fecero gli israeliani a Entebbe non si può, è escluso. Anche se i costi, in casi del genere, rischiano di essere alti. Però vuoi mettere la soddisfazione? L'Operazione Entebbe, messa in atto dai reparti speciali israeliani per liberare gli ostaggi di un dirottamento aereo si svolse nella notte tra il 3 luglio e il 4 luglio 1976, nell'aeroporto dell'omonima città ugandese. Come finì, lo sanno tutti. Gli israeliani ci provarono con le buone. Poi arrivarono a fari spenti nella notte con 4 C-130 e si portarono a casa gli ostaggi, (tranne 3, morti nell'operazione) uccidendo 6 dirottatori e perdendo sul terreno solo un uomo: il comandante della missione, il tenente colonnello Yonatan Netanyahu, fratello del futuro presidente del Likud e primo ministro Benjamin Netanyahu. Ma erano israeliani, quei tipi. E di fronte avevano Idi Amin Dada, una macchietta. Insomma, non è cosa, per noi. Però portarceli a casa, Girone e il suo compagno, in un modo o nell'altro, questo avremmo potuto, dovuto farlo. Ci avrebbero fatto guerra? Una guerra economica? Va bene.

Ma ci avremmo guadagnato in dignità, in orgoglio nazionale, in rispetto e in umore, cioè in salute.

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