Milano Ha scatenato reazioni fortemente critiche, e bipartisan, la notizia della sentenza della Corte d'appello di Milano che ha ridotto la condanna inflitta in primo grado per violenza sessuale a un uomo di 63 anni anche sulla base del fatto che la moglie, vittima di sequestro, botte e stupro, lo tradiva e aveva una «condotta troppo disinvolta».
Il Tribunale di Monza aveva condannato l'uomo, un romeno, a 5 anni di carcere con il rito abbreviato. In secondo grado i giudici di Milano gli hanno scontato otto mesi, con una motivazione (riportata ieri dal Corriere della Sera) che fa discutere. I due, lei è connazionale del marito e ha 43 anni, vivevano insieme in una roulotte in un «contesto familiare degradato». Il matrimonio era caratterizzato «da anomalie quali le relazioni della donna con altri uomini». Il 63enne, definito «mite» nonostante le minacce di morte, le botte inflitte con un tavolino di legno, i pugni e gli schiaffi, gli abusi lunghi una notte, sarebbe stato «esasperato dalla condotta troppo disinvolta della donna», che «aveva passivamente subito sino a quel momento». Circostanze che per i giudici non attenuano la responsabilità, ma sono «indice di una più scarsa intensità del dolo».
Le proteste sono arrivate da tutte le parti politiche. La senatrice Valeria Valente (Pd), presidente della Commissione di inchiesta sul femminicidio, considera la sentenza un precedente «davvero preoccupante e pericoloso». E continua: «Ancora una volta la donna vittima si trasforma in soggetto imputato, ancora una volta agiscono pregiudizi e stereotipi culturali anche in un'aula di Tribunale e questo è inaccettabile». Non solo: «Agli operatori di giustizia rischia ancora di mancare la specializzazione necessaria per leggere la violenza in maniera corretta. Chiederemo gli atti e approfondiremo il caso. Non può essere il contesto di degrado o le presunte relazioni della vittima con altri uomini a giustificare una violenza sessuale aggravata dal sequestro». Conclude Valente: «La violenza sessuale non può avere scusanti o giustificazioni». Così Mara Carfagna (Fi), vicepresidente della Camera: «Abbiamo buone leggi contro la violenza sessuale, vogliamo che siano applicate». La sentenza, spiega, «si basa sulla convinzione che la vittima meritasse una punizione per il suo comportamento, una sorta di attenuante morale per un delitto che non ha giustificazione. Questa mentalità non dovrebbe trovare spazio nelle sentenze, perché non è mai la vittima a essere colpevole». E il capogruppo di Fi al Senato, Anna Maria Bernini: «Lo stupro è sempre stupro e la sentenza della Corte d'appello di Milano che ha riconosciuto come attenuante il comportamento disinvolto della donna è semplicemente aberrante. No: i magistrati che hanno emesso questo incredibile verdetto non meritano alcuna attenuante». Mentre la deputata azzurra Annagrazia Calabria sottolinea: «Non si può che rimanere sgomenti», il verdetto è «preoccupante perché smonta un assunto di civiltà: non può esistere alcuna giustificazione, nemmeno implicita, alla violazione della dignità della donna, ancor più quando viene inflitta con una brutalità come quella in questione. Il rispetto delle sentenze non può esimerci dalla necessità di interrogarci sulle conseguenze, anche indirette, di certe decisioni e dei messaggi che ne derivano».
Infine la senatrice Pd Valeria Fedeli: «Come ha stabilito la Convenzione di Istanbul, la violenza sessuale è violazione dei diritti umani sempre e oltre che lesivo della dignità della vittima è chiaramente frutto di impreparazione e conoscenza insufficiente del fenomeno ritenere che possano sussistere attenuanti. Anche la cultura giuridica deve aggiornarsi e superare pregiudizi e lacune».
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