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Tutti in fila da Erdogan anche se viola le regole e "ricatta" l'Occidente

Americani e tedeschi in missione ad Ankara: temono le sue mosse su Nato e migranti

Tutti in fila da Erdogan anche se viola le regole e "ricatta" l'Occidente

Siamo al trionfo della Realpolitik. Erdogan continua a violare la Costituzione vigente esercitando da presidente poteri che non gli competono, la sua caccia alle streghe nei confronti dei gulenisti veri o presunti non conosce soste e i suoi media accusano apertamente l'America di avere ideato il golpe e addirittura di avere cercato di ucciderlo. Eppure, l'Occidente, in questi giorni, va quasi a Canossa dal Sultano, preoccupato che allacci rapporti troppo stretti con Putin, che si defili dalla lotta contro l'Isis e che permetta agli oltre 2 milioni di siriani rifugiati in Turchia di riprendere la marcia verso l'Europa attraverso l'Egeo.

Ha cominciato il generale Scaparotti, comandante supremo della Nato, a visitare il capo di Stato maggiore turco Hulusi Akar per ottenere assicurazioni sui futuri rapporti di Ankara con l'Alleanza. È seguita a ruota una delegazione americana per affrontare il delicatissimo tema del futuro di Fetullah Gulen, l'imam rifugiato in Pennsylvania accusato di avere organizzato il fallito golpe, di cui Erdogan chiede con sfrontata insistenza l'estradizione senza avere fornito le prove necessarie. Oggi arriverà in Turchia addirittura il vice-presidente americano Biden, per fare ammenda sostengono i media di regime turchi per la presunta mancanza di sostegno di Washington dopo il putsch. Infine, giovedì sarà il turno del ministro tedesco degli Affari europei Roth, presumibilmente con l'obbiettivo di salvare l'accordo in base al quale Erdogan si è impegnato a fermare il flusso dei profughi verso la Ue in cambio della abolizione dei visti per i cittadini turchi, di un «sussidio» di sei miliardi di Euro e della ripresa dei negoziati per una oggi impossibile adesione della Turchia all'Unione. L'Occidente, pur continuando a condannare il comportamento del Sultano, (secondo il New York Times, le sue purghe sono di una dimensione senza precedenti dai tempi di Stalin) ha evidentemente deciso di prendere atto che il fallito golpe lo ha in realtà rafforzato: ha fatto crescere la sua popolarità dal 47 al 68%, ha favorito un sorprendente riavvicinamento con l'opposizione kemalista e provocato una impressionante mobilitazione popolare. Due milioni di persone di tutti i partiti (con l'eccezione del partito curdo, non invitato perché classificato come ostile) hanno partecipato giorni fa a una grande manifestazione a sostegno del presidente, in cui sono prevalse le accuse anche più strampalate nei confronti di americani ed europei: per esempio quella che la Cia avrebbe diretto il golpe da un'isola nel mare di Marmara. Poiché Erdogan ha invitato tutti i cittadini a denunciare chiunque sospettino di legami con l'organizzazione kemalista, può darsi che un certo numero di persone abbia partecipato al raduno solo per costruirsi un alibi. Ma, secondo i sondaggi, l'84% dei turchi è convinta che il fallito putsch sia stato organizzato dall'estero e il 70% punta il dito contro Washington. E il governo ha richiamato l'ambasciatore a Vienna oltre a 200 altri diplomatici sospettati di essere legati a Gulen e quindi candidati all'epurazione solo perché il governo austriaco ha autorizzato lo svolgimento di una manifestazione a favore dei ribelli curdi del PKK. Vari fattori hanno contribuito al rafforzamento di Erdogan: la diffusa diffidenza popolare nei confronti della organizzazione di Gulen, che quando era ancora alleato del Sultano aveva contribuito ad organizzare la decapitazione dell'esercito e un processo-farsa contro molti esponenti kemalisti; la paura causata nella popolazione da ben sette sanguinosi attentati dinamitardi nel solo 2016, attribuiti all'Isis o ai Curdi ma forse ideati dai servizi segreti; l'acuirsi del conflitto con la minoranza curda.

Ma questo rafforzamento, oltre a costringere l'Occidente ad abbozzare davanti a una evidente deriva autoritaria, è pericoloso per tutti, perché permetterà a Erdogan di consolidare ulteriormente il suo potere e di continuare nella sua avventurosa politica estera, dall'aggressività contro i Curdi siriani alleati dell'America ai giri di valzer con la Russia.

E i pellegrinaggi di questi giorni ad Ankara non basteranno certo a fargli cambiare idea.

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