Guerra in Ucraina

Ucraina, ora Lavrov incolpa Johnson

"L'inglese fece saltare l'accordo per una tregua nel maggio '22". Poi dà del codardo a Blinken

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Il «Lavrov show» di ieri a Skopje è un esempio classico di polverone alzato per nascondere un fallimento. Stiamo parlando, si capisce, del nulla di fatto ottenuto dal ministro degli Esteri russo al vertice Osce al quale si era presentato facendosi precedere dallo slogan «tutti vogliono parlare con noi». Non è andata così, ed ecco allora Serghei Lavrov sputare veleno contro chi «è scappato da codardo per non incontrarci».

Lavrov ha detto ai giornalisti, in tono sprezzante, che il segretario di Stato Usa Antony Blinken e il «ministro degli Esteri» dell'Ue Josep Borrell avrebbero avuto solo paura di doversi confrontare «onestamente con i fatti alla mano». Poi però, quando ha riferito quelli che lui definisce fatti, di onestà se n'è vista poca. Molta classica propaganda putiniana, piuttosto, quella secondo cui l'Occidente altro non cercherebbe se non aggredire la Russia utilizzando l'Ucraina come proprio servo sciocco. Il capo della diplomazia di Mosca ha lamentato l'assenza di qualsiasi volontà politica «né da parte di Kiev né dei suoi padroni» (nella logica russa, un alleato è un padrone) di porre fine al conflitto. Un processo, ha detto utilizzando un'insolita metafora, che potrà cominciare solo con la partecipazione di entrambe le parti «come nel tango, ma dall'altra parte sembra che ballino la breakdance».

Lavrov è poi ricorso alla più classica delle fake news. Anzi, per ottenere maggior effetto, ne ha sparate due. La prima: a Istanbul, nel maggio 22, «si stava per raggiungere un accordo per fermare la guerra, ma intervenne l'allora premier britannico Boris Johnson e disse che la guerra doveva continuare» (è bene ricordare che i russi pretendevano ufficialmente «demilitarizzazione e denazificazione dell'Ucraina», ossia resa totale e cambio di regime a Kiev: Zelensky non avrebbe mai accettato nulla del genere). La seconda: nei piani occidentali, con gli accordi di Minsk ancora in vigore, «c'era l'installazione di una base Usa nel Mar Nero e di una britannica nel Mar d'Azov, inaccettabili minacce dirette per la Russia dal territorio ucraino». Sarà interessante sapere da che fonti arrivino simili «notizie».

A dar sollievo a Lavrov ha provveduto il premier ungherese Viktor Orbán, vera quinta colonna russa nell'Ue e nella Nato, dichiarando che «l'adesione dell'Ucraina all'Ue non coincide con gli interessi dell'Ungheria. Non metteremo un veto perché non vogliamo nemmeno che sia messa in agenda al prossimo vertice europeo».

A Mosca, dove nel frattempo è stata inventata una nuova accusa di «vandalismo» per estendere la condanna al carcere duro per l'oppositore politico Aleksei Navalny, apprezzano.

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