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Vecchio il 70% delle centrali. La sicurezza costa 50 miliardi

In Italia 4.700 impianti, la maggior parte ha più di 40 anni. Privatizzazioni entro il 2030: il nodo investimenti

Vecchio il 70% delle centrali. La sicurezza costa 50 miliardi

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Ci sono ancora poche ore per tentare di salvare i dispersi. E mentre i soccorritori sperano nel miracolo, ci si interroga su quali siano state le cause della tragedia. «Impossibile che sia successa una cosa del genere, non riusciamo a spiegarcelo - sostengono gli ingegneri del settore - In impianti del genere ci sono tutte le sicurezze del mondo». Eppure.

«In questo momento né io né la stessa Enel Green Power abbiamo ancora approfondito quali possano essere le cause - interviene Gilberto Pichetto, ministro dell'Ambiente e della Sicurezza Energetica - Non ci sono problemi di fornitura di energia ma non c'è dubbio che debba essere fatta chiarezza».

In attesa di ricostruire la dinamica dell'incidente, c'è un aspetto da considerare: la centrale di Suviana è stata costruita negli anni Settanta. Ha più di 40 anni, come il 70% delle centrali idroelettriche italiane, sulle 4.700 presenti (in grado di generare il 16% dell'energia elettrica necessaria). Il problema dell'«età» delle strutture non è da sottovalutare: in media hanno 85 anni. E va bene le ristrutturazioni e l'adeguamento degli impianti di sicurezza ma su strutture così datate l'efficacia degli interventi di ammodernamento non è mai efficace quanto la costruzione di un impianto nuovo. E soprattutto ha costi elevatissimi.

In base a uno studio realizzato da The European House Ambrosetti e da A2A, una delle principali società italiane nella produzione di energia elettrica dalle masse d'acqua, al settore idrico e a quello idroelettrico servirebbero investimenti da 48 miliardi di euro in 10 anni per svilupparsi e restituire maggiori benefici al sistema energetico nazionale. Solo la regione Calabria una delle più importanti del Sud Italia per la produzione di energia idroelettrica avrebbe bisogno di 800 milioni in un decennio.

E chi è in grado di sostenere costi così elevati? Le concessioni in Italia hanno una durata «limitata»: 40 anni. E il gestore degli impianti quindi non ha tempo a sufficienza per spalmare i costi delle ristrutturazioni e della manutenzione. In altri Paesi Europei, come Portogallo, Spagna e Francia, le concessioni durano in media 75 anni e concedono più respiro.

Ma qual è il vero freno a mano che ostacola lo sviluppo delle centrali elettriche? A detta dei tecnici il nodo principale da sciogliere sta nei bandi di gara, insufficienti. Vanni indetti, servono a muovere il mercato, a rilanciare un settore irrinunciabile, ad abbassare i prezzi e ottenere il massimo dei risultati. Va infatti considerato che l'86% delle concessioni, in mano per lo più ad aziende pubbliche, è scaduto o scadrà entro il 2029. Dare una rinfrescata al settore (non per forza eliminando il pubblico ma, questo sì, svecchiando la logica del carrozzone statale) fa sicuramente bene anche all'introduzione di impianti di ultima generazione e al contenimento dei costi rispetto ad oggi. Qualche regione, la Lombardia ad esempio, ha già cominciato. La prima «fuga in avanti» l'ha fatta la provincia di Bolzano nel 2005, quando due gare sono state vinte dal settore privato. Ma anche questo porta vantaggi al Paese: il privato spesso ristruttura con più facilità, con tempi più rapidi e con costi più contenuti. E, al termine della concessione, «restituisce» al pubblico la centrale idroelettrica rimessa a nuovo o costruita secondo i più moderni criteri.

Anche quelli sulla sicurezza.

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