Olimpiadi

Vittoria da cinepanettone ma non solo

Vittoria da cinepanettone ma non solo

Milano-Cortina 2026 non è solo una Olimpiade. A primo acchito lo slogan sembra una battuta scappata dal copione di un film dei Vanzina degli anni Ottanta. Precisamente 1983, Vacanze di Natale 83. Quando Guido Nicheli, rigorosamente impellicciato e in Mercedes, sbarca all'hotel Cristallo e si pavoneggia con una bellissima Stefania Sandrelli: «Via della Spiga hotel Cristallo di Cortina, 2 ore 54 minuti e 27 secondi, Alboreto is nothing!». Storia. Della cultura pop e pecoreccia - direbbe qualcuno - ma pur sempre storia. Oggi - nell'era del moralismo imperante - al povero Dogui, per una battuta del genere, toglierebbero subito una ventina di punti, sulla parola. Il navigatore segna 5 ore e 5 minuti, stando entro i limiti. Ma negli anni Ottanta tutto era possibile. E i navigatori non c'erano ancora, preservandoci il gusto di perderci e il piacere maramaldo di poter sbruffoneggiare sui tempi di percorrenza. E due giorni fa, sui social, era tutto un fuoco d'artificio di battute e di meme in stile vacanze di Natale. Eppure dietro l'euforia per la vittoria italiana delle Olimpiadi invernali c'è qualcosa di più oltre al cazzeggio, le distanze misurate in giri di Rolex, De Sica, Boldi e Calà, i flûte di champagne, gli yuppies (intesi come categoria umana e come film), il Drive in (ha innovato la società italiana più di tanti soloni progressisti) e Quelli della notte. Il giubilo scomposto per questo trionfo non è solo un vezzo da milanese imbruttito o la nostalgia di chi quegli anni li ha vissuti, ma anche una opportunità a cui aggrapparsi in un presente che non sembra prevedere orizzonti, che pare aver perso il punto di fuga.

Perché gli anni Ottanta non sono stati solo anni di edonismo, teste cotonate, giacche con spalline smodate e autoradio sotto il braccio. Sono stati anni di benessere e speranza. Sono stati gli anni della grande rivoluzione liberista di Reagan e quelli - poi tanto vituperati - in cui l'Italia produce: danaro e futuro. Sono gli anni del «sorpasso» e questa volta non parliamo di un film, ma di quando lo Stivale supera per Pil la Gran Bretagna e si posiziona al sesto posto tra le potenze economiche del mondo. Sono gli anni in cui l'Italia conta sui mercati finanziari e si fa sentire sullo scacchiere internazionale. Gli anni in cui ogni cittadino credeva di poter realizzare se stesso all'interno del mercato del lavoro. Senza dover fuggire chissà dove.

E poco importa se allora i ministri ballavano impomatati e scrivevano libri sulle discoteche. Ora che ostentano stili di vita monacali e scrivono tweet sgrammaticati le cose vanno peggio. Per loro e per il Paese. Tutto si può sintetizzare nel titolo di un bellissimo saggio di Marco Gervasoni su quel periodo: Quando eravamo moderni. Dopo troppi anni di austerità montiana e di tristissima decrescita grillina, le Olimpiadi sono lo squarcio in un muro di tristezza, il ritorno all'idea - una volta scontata - che il domani possa essere meglio di ieri. Che si possa ancora fare qualcosa, che non esiste solo l'Italia del no. Le Olimpiadi di Milano-Cortina possono essere una nevicata di entusiasmo e, sì, perché no, anche un po' di incoscienza, ché di algoritmi che calcolano - puntualmente sbagliando - il nostro futuro ci siamo rotti le balle. E se dovesse aver ragione quella menagrama di Greta e le nevi sparissero, beh, ci accontenteremo anche di una spruzzata artificiale.

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