Controcorrente

«Portiamo hi tech e cibo ai poveri, dal Nepal al Brunei»

Hanno cominciato con un'impresa non proprio leggera. Una Dxpedition, come si definisce in gergo, ai piedi dell'Himalaya, a Dhulikhel, in Nepal. Anno 2011, mese di novembre, naturalmente per stare sicuri di prendere ancora più freddo. Sono i ragazzi del «Mediterraneo Dx Club», una delle associazioni più popolari nel mondo per l'attività radiantistica, che ogni anno mobilita un team di almeno 20-25 persone per trasmettere da Paesi poco accessibili per un paio di settimane. Trasmettere giorno e notte per far felici i colleghi del resto del mondo in cerca di quel Paese raro, ma soprattutto per inventarsi, ad ogni occasione, un progetto di solidarietà. Lasciare insomma, il segno delle loro antenne non solo nella sabbia o nella neve o tra le baraccopoli dell'Africa o del'Asia, ma soprattutto nei cuori della gente. Presidente e fondatore del «Mediterraneo» è Antonio Cannataro, nominativo IZ8CCW.

Come è nata l'idea del «Mediterraneo»?

«Nel 1997 assieme ad un gruppo di esperti colleghi, già abituati a viaggiare attrezzati di antenne e radio abbiamo deciso di dar corpo ad una Associazione che, pur con la forte connotazione italiana, aprisse le porte a radioamatori di tutto il mondo per organizzare con spedizioni radiantistiche e umanitarie nei più disparati Paesi».

Quanti soci conta oggi il Mediterraneo Dx Cub ?

«Siamo circa 700 di 47 Paesi differenti. Oltre a sostenere l'organizzazione di spedizioni di altri gruppi abbiamo costituito un team di una ventina di persone di nove Paesi differenti, che, pescando da un zoccolo duro di 150 volontari, ogni anno promuove e organizza una spedizione radiantistica con molteplici finalità».

Avete cominciato in Nepal nel 2011, dopodichè?

«Siamo stati in Brunei, Bangladesh, Madagascar, Vietnam e quest'anno siamo appena tornati dalla Cambogia ma stiamo già pensando alla prossima avventura».

Che cosa significa piantare antenne e installare radio in questi Paesi?

«Intanto significa portare almeno 6-7 quintali di equipaggiamento e pagare di tasca nostra il pesante sovrappeso bagagli alle compagnie aeree che, nonostante le nostre finalità, non sono molto indulgenti con noi. Poi significa arrivare in luoghi dove spesso non c'è nulla. Nemmeno una fonte di energia sicura e quindi esser costretti a lavorare con i generatori e in condizioni climatiche e igieniche spesso al limite della tollerabilità. Ma significa anche incontrare persone meravigliose che si sforzano di imparare le nostre tecniche di trasmissione per far fronte alle emergenze e alle catastrofi naturali così frequenti nelle loro zone. E poi lasciare un contributo di solidarietà concreto che va oltre la mera offerta di viveri, denaro, materiale tecnico. Per esempio nella nostra equipe c'è anche un giovane medico, Dario, IT9ZZO, ben avvezzo a queste esperienze in condizioni di lavoro estreme. Ebbene Dario sistematicamente si presta a visitare decine e decine di residenti locali e a somministrare terapie in qualsiasi zona disastrata noi riusciamo a raggiungere».

Le esperienze che vi hanno gratificato di più in questi anni:

«Il lavoro di educazione e addestramento ai giovani scout di Dacca in Bangladesh, l'indimenticabile legame di solidarietà sbocciato in Nepal tra i poveri e gli emarginati a Dhulikhel L'aiuto concreto che abbiamo portato all'ospedale italiano in Madagascar, a Nosy Be, e, sempre su quell'isola, alle suore del Sacro Cuore che da sole si occupano di dare cibo e istruzione ai bambini poverissimi e orfani. Il loro convento stava proprio vicino al campo delle nostre antenne e così è nata un'amicizia davvero speciale. Che si è conclusa con un regalo altrettanto speciale: la bandiera italiana, cucita con le loro mani a lume di candela durante la notte perché potessimo innalzarla l'indomani sulle nostre antenne. Regali che ci ripagano per queste nostre follie».

GVil

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