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"Prego scridipingere ancora" Le lettere dei fan di Buzzati

Ecco biglietti, fogli e fax che editori, romanzieri, lettori, registi e alpinisti inviarono negli anni allo scrittore e pittore

"Prego scridipingere ancora" Le lettere dei fan di Buzzati

Gli scrivevano tutti. Altri scrittori, ovviamente, e giornalisti, ma anche editori, pittori, registi, alpinisti, critici, insegnanti e comuni cittadini, lettori del Corriere della sera. Dino Buzzati (1906-72) fu un punto di riferimento e di collegamento fra mondi anche molto distanti fra loro. Si sono appena concluse diverse rievocazioni della sua figura, nel cinquantenario della scomparsa, caduto l'anno scorso, e ancora va segnalata qualche coda significativa. Per esempio un'interessante selezione di lettere, rinvenute nell'archivio dell'Associazione internazionale Dino Buzzati ed esposte fino al 26 febbraio alla Galleria d'arte moderna «Carlo Rizzarda» di Feltre (Belluno), in una mostra a cura di Marco Perale opportunamente intitolata Corrispondenze. Un evento raro, dato che di epistolari buzzatiani ne sono stati pubblicati ben pochi.

«Ti guardo in faccia, così spiritato con i tuoi occhietti che mandano lampi e resto a sentire le tue garbate follie col più vivo piacere. Col vantaggio che qualche volta, parlando, si sente che sei un poeta vero» gli scrive l'editore Neri Pozza in una lettera del 14 novembre 1962. E infatti aggiunge: «Ti raccomando un libro di poesia, che dobbiamo fare per nostro divertimento (e per quello di pochi altri). Che cosa aspetti?».

Gli editori stanno sempre a chiedergli qualcosa. Livio Garzanti, un uomo evidentemente abituato a comandare, il 14 ottobre del 1971 gli manda due biglietti vergati a mano. Nel primo, in risposta al ringraziamento per la stampa del libro illustrato I miracoli di Val Morel, gli dice: «Anche lo spirito del suo libretto mi riporta ai suoi primi libri, a Barnaba, ai Segreti del bosco vecchio che sono ancora Garzanti (peccato che i Miracoli si incontrino ora in libreria col Suo nuovo libro di racconti)». Poi gli liscia il pelo: «Complimenti anche al pittore». Nel secondo biglietto il tono è un po' più autoritario: «Carpi mi dice che Lei si è interessato al suo libro e che ne ha promesso una recensione () Ma se questa è la sua promessa la prego: mi pubblichi il suo pezzo presto perché un libro come quello muore per Natale e poi difficilmente risorge; bisogna dargli una spinta subito».

Il 29 agosto del 1966, Vittorio Sereni, dalla direzione editoriale della Mondadori, gli manda una letterina che denota come il marketing non fosse del tutto alieno anche allora ai puristi della letteratura. Fa così: «Caro Buzzati, il film di Tognazzi ricavato dal tuo racconto Sette piani è ormai in lavorazione. Ricordi la vecchia idea di fare una raccolta di tuoi racconti da pubblicare in edizione economica con il titolo Sette piani, che è il titolo del racconto dal quale è stato ricavato il film? Mi avevi promesso di fare tu stesso la scelta dei racconti. Credi che si potrà intitolare l'eventuale volume Il fischio al naso come il film di Tognazzi?».

A proposito di cinema, è Ermanno Olmi a scrivergli il 24 settembre del 1967 in risposta a una lettera in cui lo scrittore si lamenta per alcune modifiche a una sua sceneggiatura del film Rai sul centenario della Galleria di Milano. «Hai ragione: le tue osservazioni sono sacrosante» gli conferma Olmi. Che poco dopo spiega: «Sono i guai dei lavori fatti troppo in fretta» e «la prossima volta che lavoreremo insieme andrà meglio». Succederà nel 1993, quando Olmi dirigerà Il segreto del bosco vecchio, tratto dall'omonimo romanzo di Buzzati.

Un altro regista con cui lo scrittore bellunese ha dei contatti è Federico Fellini, che gli scrive un «telegramma via Italcable» (altrimenti detto telex) per ringraziarlo di una recensione sul settimanale L'Europeo del suo Giulietta degli spiriti. Con lui era in corso anche una collaborazione per il famoso ultimo film di Fellini, Il viaggio di Mastorna, mai finito.

Da Santa Margherita Ligure un giorno di agosto gli scrive Vittorio G. Rossi, che gli aveva mandato un pandolce genovese per Natale e ha appena saputo, ben fuori tempo massimo, che non è stato recapitato. Il critico letterario Geno Pampaloni lo invita al Rotary club di Firenze, il germanista Bonaventura Tecchi lo ringrazia per una recensione del suo libro Gli onesti; l'architetto Gio Ponti, con una lettera graficamente molto originale, per un suo articolo sul grattacielo Pirelli; Vittorio Beonio Brocchieri gli manda un telegramma denso di riferimenti a luoghi e personaggi dei suoi libri: «Prenotato Grangala presso osteria Baliverna anno duemilatredici giorno primo aprile convitando pure tenente Drogo signorina Anfossi con altri sette messaggeri».

Qualcuno lo critica anche. Per esempio Monsignor Giuseppe Olivotti, ausiliario patriarcale di Venezia, il quale il 14 agosto 1964, dopo qualche complimento di rito, si scaglia contro un certo articolo che getterebbe «una pietra sul fiore più gentile e delicato della civiltà cristiana: il pudore. Non le pare, caro sig. Buzzati, che la nostra gioventù, la nostra gente non sia abbastanza spudorata per incoraggiarla a maggiori prodezze?». E conclude con riferimenti al crollo morale, all'impudicizia dilagante e alla morale dei lettori.

E poi c'è la pittura. Il Buzzati pittore ha ottenuto un riconoscimento postumo, forse anche perché in vita non piaceva ai critici, ormai tutti irrimediabilmente schierati a sinistra. Ma da queste lettere apprendiamo che godeva, anche come critico d'arte del Corriere, della stima di Emilio Vedova, Michele Cascella, Aldo Carpi, Enzo Morelli. Guido Cadorin invece si lamenta che il quotidiano non abbia considerato la sua ultima mostra «come un fatto eccezionale».

Quanto a lui, Cesare Zavattini gli suggerisce: «Perché non fai dei fatti di cronaca? Sarebbero il tuo pane. O sbaglio?». Un consiglio che verrà in parte seguito. L'editore Bruno Alfieri è forse il primo a proporgli un libro sulla sua pittura. Ed è il quotidiano Paese Sera ad assegnargli un premio nel 1969 per il Poema a fumetti, anch'esso ricevuto con altezzosa perplessità dai critici.

Ma è un alpinista, Gabriele Franceschini, il 18 novembre del 1968, a rivolgergli un appello che sintetizza un'intera opera: «Pregoti scridipingere ancora».

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