Controcorrente

Il prete-medico tornato in corsia: "Per vocazioni vere serve equilibrio"

Appena scoppiato il virus ha indossato di nuovo il camice da pneumologo. Oggi è Vicario parrocchiale di Correggio

Il prete-medico tornato in corsia: "Per vocazioni vere serve equilibrio"

Don Alberto Debbi è il sacerdote medico che, appena scoppiato il Covid, ha lasciato l'abito per indossare il camice e tornare in corsia ad assistere i malati. Laureato in medicina, specialista in pneumologia, don Alberto, 44 anni, è oggi vicario parrocchiale di Correggio. Racconta al Giornale la scelta di entrare in seminario.

Don Alberto, come era la sua vita prima che decidesse di diventare sacerdote?

«Dopo diverse difficoltà, delusioni e momenti bui, apparentemente la vita mi stava dando tutto ciò che un giovane potesse desiderare. Un lavoro, quello di medico pneumologo ospedaliero, che mi stava dando soddisfazioni umane e professionali (e di cui rimango tuttora innamorato), una fidanzata che mi voleva bene con progetti seri e ben impostati di matrimonio, un appartamento (di cui stavo pagando il mutuo), amicizie, tanto sport e vita all'aria aperta con alpinismo, ciclismo, tennis».

E poi cosa è successo?

«Ho cominciato a sentirmi insoddisfatto e ancora in ricerca, sentivo che tutto quello che stavo vivendo non appagava la mia sete interiore e che c'era altro che io potevo fare per amare al 100%».

C'è stato un momento di svolta?

«Ce ne sono stati molti, nella vita lavorativa come in ogni ambito della mia relazionalità e delle mie giornate. È un cammino lungo quello per comprendere la propria vocazione. Ma c'è stato anche un momento particolare, molto intimo e personale, in cui ho realizzato con chiarezza il tutto. Oserei definirlo un momento mistico. È stata una sera di una domenica del marzo 2008: di ritorno da una giornata sugli sci in cui ero particolarmente insoddisfatto sono andato ad una messa serale e alla lettura del Vangelo, quello dove Gesù compie il miracolo della guarigione di un uomo cieco dalla nascita, ho sentito dentro di me, che il vero cieco ero io e che dovevo aprire gli occhi su una nuova strada: quella del sacerdozio. Era una voce buona ma decisa che me lo stava dicendo, per il mio bene. Quasi sono scappato dalla chiesa angosciato. Da quel momento non sono più riuscito a contenere e a calmare questa voce che si faceva sentire in tantissime occasioni. Ci ho litigato tra alti e bassi per alcuni anni. Poi ho capito che aveva ragione; ho lasciato fidanzata, lavoro e casa e sono entrato in seminario. È stata una scommessa, ma davvero aveva ragione Lui.

E gli anni del seminario, come sono stati?

«Beh, non è stato del tutto facile rimettersi tra i banchi come studente a quasi 40 anni e da medico; come non è stato facile sentirsi completamente a proprio agio nel ruolo di seminarista che tutto deve imparare e che ha dei superiori responsabili per lui. Il Signore mi ha sostenuto e gli amici seminaristi e i superiori mi hanno aiutato. Il mio carattere poi ha fatto sì che potessi completare il percorso con tanti bei ricordi e tanti bei momenti che porto nel cuore».

Come deve vivere la sua vocazione, oggi, un sacerdote?

«Deve affidarsi al Signore che ci è padre comunque, alla Chiesa e alle comunità. Ma anche con tanto tanto buon senso ed equilibrio psicologico e affettivo.

Il Signore, che non si fa battere in generosità, farà il resto».

Commenti