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La primavera araba è un buco nero

I risultati elettorali del primo Paese in cui si è votato liberamente fanno temere per il futuro. I risultati della primavera araba saranno diversi dalle nostre aspettative. GUARDA le foto

La primavera araba  è un buco nero

I risultati della rivoluzione araba detta “primavera” saranno del tutto diversi dalle nostre aspettative: certo il povero Muhammed Bouazizi che con tragica e spontanea mossa si immolò e dette fuoco ai regimi arabi corrotti non si sarebbe immaginato che le prime elezioni libere nel suo Paese, dove il numero di minigonne è il maggiore di quello di tutto il mondo arabo, sarebbero state vinte, come pare certo, dal partito islamico Ennahda, che si presenta come islamico moderato. Né l’inno alla non violenza che noi occidentali abbiamo cantato per l’insorgenza araba prevedeva nel suo immaginario un linciaggio feroce come quello di Gheddafi. Né si pensava che gli egiziani si sarebbero di nuovo attardati in un regime militare, con morti e violenze sulle donne. La rivoluzione araba è in fase di misteriosa transizione, ha la faccia di un’incertezza violenta e dello scontro millenario fra sunniti e sciiti, specie fra Arabia Saudita e Iran.
Abbiamo esclamato, noi occidentali, che si è aperto un mondo migliore. In realtà, con tutto il rispetto per l’aspirazione alla libertà che ha portato tanti giovani, tanti coraggiosi, a sfidare la morte contro orribili dittatori assassini come Gheddafi, se guardiamo negli occhi la realtà, è un buco nero. Abbiamo il dovere verso noi stessi e verso il mondo arabo di cercare di influenzarlo per quel che possiamo.
Sul terreno interno alle rivoluzioni, gli islamisti liberati dalla condanna al silenzio si presentano nelle più diverse varianti. Egitto, Tunisia, Libia, Siria, sono tutti luoghi in cui per lunghi anni si sono organizzati nella clandestinità e hanno raccolto larghi consensi nelle moschee. Alla lunga è possibile che, facendosi interlocutore a fronte di gruppi peggiori, Ennahda in Tunisia o la Fratellanza Musulmana in Egitto diventino interlocutori apparentemente praticabili nell’immediato, ma certo non amichevoli nel futuro.
A livello internazionale, la ricerca dei musulmani moderati è sempre stata popolare. Ma la Turchia, molto blandita, è ormai il migliore difensore dell’Iran e di Hamas, il peggior nemico di Israele, un Paese in lotta per l’egemonia e vedremo i risultati nel futuro. L’Arabia Saudita, disorientata dall’attacco che lambisce il suo territorio, investe molti soldi perché i “suoi” musulmani siano i vincitori. Ma i moderati sono davvero tali?
Se guardiamo al nostro investimento per esempio nel conflitto israelo-palestinese, non funziona: alla fine Hamas ha successi di popolo e Abu Mazen per emularlo rifiuta le trattative. È impressionante anche come Abu Mazen si sia entusiasmato per il ritorno dei prigionieri assassini terroristi scambiati con Gilad Shalit, e di come abbia già costruito loro, e quindi al terrorismo più accanito, un monumento ideologico (e anche economico: ha regalato a ciascuno 5000 dollari contro i 2000 elargiti da Hamas) che non potrà essere tanto facilmente rimosso. L’Arabia Saudita sarebbe gratificata dall’ascesa nelle rivoluzioni di un modello islamista che tiene a bada i salafiti e non rompe con gli americani, ma è un gioco scivoloso.
L’Iran, sostenitore di Assad, non è credibile nel sostegno delle rivoluzioni anche per la terribile repressione contro i propri dissidenti ed è a rischio nell’area mediorentale perché l’alleato siriano assediato gli mette in crisi anche il rapporto con gli Hezbollah in Libano. In Libia ha sostenuto Gheddafi per contrastare gli Usa, in Tunisia non ha influenza, e soprattutto i rapporti con gli Usa sono al punto più pericoloso a causa del complotto contro l’ambasciata saudita a Washington e dopo che le indagini sul nome di Gholam Shakuri, un alto ufficiale delle forze Quds, ne hanno fatto un sospetto in prima linea. Qualche consolazione l’Iran l’ha ottenuto da un’alleanza inedita con l’Egitto in concorrenza con i sauditi. Ma il suo scontro duro per l’egemonia è appena cominciato.
Una cosa è certa: la gratitudine verso il mondo occidentale, piani Marshall o meno, svanirà presto. I bisogni di questi Paesi, sempre ricchi di ogni bene solo per le loro elite corrotte, resteranno inesausti, nessun ritiro dall’Irak cancellerà l’antagonismo di un mondo che si sente ferito e incompatibile col nostro sui diritti umani, la condizione delle donne, l’antisemitismo, il cristianesimo. L’impero ottomano fu distrutto da noi occidentali, i mujahidin hanno cacciato i sovietici con l’aiuto americano, l’Irak e la Libia hanno messo fine con lo stesso aiuto alle loro dittature.

Questo non ha cambiato la percezione dell’Occidente.

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