Cinema

Pupi Avati dice tutto: "Mi mancava di fare un film così sincero"

Nelle sale dal 5 maggio la sua nuova opera "È la storia di un fallimento, figlio dei sogni"

Pupi Avati dice tutto: "Mi mancava di fare un film così sincero"

Iniziamo dal titolo, complesso, del nuovo film di Pupi Avati, La quattordicesima domenica del tempo ordinario: «Ho immaginato il titolo oltre 15 anni fa quando, raggiunta la settantina, ho iniziato una riflessione sul mio percorso. La quattordicesima domenica del tempo ordinario, secondo l'anno liturgico, è quella che segue la Quaresima e anticipa l'Avvento e per me è il giorno in cui mi sono sposato, il 27 giugno 1964». Un «giorno molto speciale», ripete il regista, «con la felicità più piena perché io consideravo la mia futura moglie la ragazza più bella di Bologna».

Ma l'autobiografia si ferma qui o, meglio, si alterna a voci lontane sempre presenti, come la musica che Pupi Avati non ha mai smesso di coltivare, a slanci narrativi che immaginano una storia con un doppio percorso temporale con i giovani Marzio, Samuele e Sandra, interpretati da Lodo Guenzi, Nick Russo e Camilla Ciraolo, nella Bologna degli anni '70 intenti a realizzare i loro sogni. I due ragazzi, migliori amici, fondano il gruppo musicale I Leggenda. Sandra sogna di diventare indossatrice. Qualche anno dopo, nella quattordicesima domenica del tempo ordinario, Marzio sposa Sandra mentre Samuele suona l'organo. Quella quattordicesima domenica diventa il titolo di una loro canzone che sognano a Sanremo e che risuonerà nel film varie volte con l'endecasillabo d'apertura «ovunque nella stanza ci son sogni» (la colonna sonora è dell'ispirato Sergio Cammariere). Perché, e questo è il secondo piano temporale, non tutto va nel migliore dei modi e 35 anni dopo, una vita dopo e qualche sogno in meno, ritroviamo i tre amici, interpretati da adulti da Gabriele Lavia, Massimo Lopez e Edwige Fenech.

E, dunque, quanto c'è di autobiografico nel film, prodotto dal fratello Antonio, da Santo Versace e da Gianluca Curti, che uscirà nelle sale il 5 maggio? «Molti elementi - risponde il regista - hanno a che fare con la mia biografia. Parlo molto di me e in modo tutt'altro che pudico. A 84 anni quello che dovevo fare l'ho fatto, anche se in realtà mi mancava un film così sincero. Io sono stato eclettico e, tranne il western, ho praticato tutti i generi».

Certo, a differenza di quanto accade nel film, Avati è ancora felicemente sposato, cosa su cui riesce anche a fare dell'ironia rispettosa: «Inizio a confondere in maniera apprezzabile il cinema con la realtà. Mia moglie l'altro giorno mi chiedeva informazioni sulla caldaia della casa di campagna e io la guardavo e mi chiedevo: Sarà meglio inquadrarla da destra o da sinistra?». Ma, con il sorriso, arriva anche la stoccata, profonda: «Racconto la storia di un fallimento perché, in fondo, siamo tutti falliti rispetto ai nostri sogni. Sa perché non c'è più quel chiosco di gelati, a Bologna tra via Saragozza e via Audinot, che si vede nel film e che frequentavo da bambino? Perché ce l'ho dentro di me, l'ho portato via. Anche per questo ho la presunzione di dire che, raccontando la mia vita, sto raccontando anche la vostra di vita».

Su questo è perfettamente d'accordo Lodo Guenzi che, parallelamente alla carriera di cantante (nella band Lo Stato Sociale), coltiva quella di attore: «Pupi ha il trucco dei poeti, tu li leggi e sei convinto che stiano parlando di te. Una sera ero in un locale in cui ho ritrovato un mio amico che cantava. Era il più bello e il più bravo tra noi ma gli è andato tutto male. Però in quel momento era felice. Proprio come il mio personaggio, la cui la sceneggiatura mi arrivò poco dopo. Marzio è un fallito ma è meno fallito di me che un po' di successo l'ho avuto anche se non conta. Lui ancora crede che un giorno scriverà una canzone che gli cambierà la vita per sempre».

Pupi Avati ha la capacità, apprezzabile, di non ricorrere sempre agli stessi attori perché, dice, «nel nostro cinema si gioca sempre con la stessa rosa, non si può fare sempre la fila alla porta di Favino che se lo merita ma non può fare tutto lui». Ecco allora, oltre a Massimo Lopez e a Gabriele Lavia, con il quale Avati non lavorava dai tempi di Zeder, ossia 40 anni fa esatti, l'arrivo insperato di Edwige Fenech, un'icona del cinema italiano, filone erotico anni '70, splendida oggi nella sua naturalezza, capelli corti e uno charme da fare invidia: «La proposta di Pupi - racconta l'attrice e produttrice che oggi vive in Portogallo - è stata un miracolo. Da sette anni ormai non pensavo più di tornare al cinema.

Ma questo è il ruolo che aspettavo in questa fase della mia vita in cui non sono più, diciamo così, una ragazzina».

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