Roma

Quando i Parti erano l’incubo di Roma

I Parti, rivali storici dei Romani, tanto da essere immortalati nell’arco di Settimio Severo con i loro tipici pantaloni, cominciarono a essere chiamati con questo nome da quando, sotto la guida di Arsace I, occuparono la satrapia seleucide Partia, nell’area sud orientale del Mar Caspio. Da allora (248-247 a.C.) ebbe inizio l’era arsacide e il regno partico, che, con Mitridate I (170-132 a.C.), assunse dimensioni imperiali. La mostra «L’Iran dei Parti. Scavi a Nisa e materiali archeologici delle collezioni», ospitata nel Museo Nazionale d’Arte Orientale (via Merulana, 248) fino al 25 marzo, presenta da un lato un nucleo di reperti archeologici provenienti dalle collezioni del Museo, dall’altro un’ampia documentazione fotografica su pannelli, che testimonia l’attività condotta dal Centro Ricerche Archeologiche e Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia fra il 2000 e il 2006 a Nisa Vecchia (Turkmenia meridionale) e una sintesi dei 70 anni di attività di scavo effettuata da missioni sovietiche e turkmene. Nisa, nei pressi della capitale del Turkmenistan Ashgabat, è una delle fondazioni urbane più antiche riconducibili ai Parti. Nisa Vecchia, scavata a partire dagli anni ’30 del secolo scorso da una missione sovietica, sostituita poi da una turkmena e dal 1990 da quella italiana, era un centro cerimoniale dei primi sovrani arsacidi, la cui arte e la cui architettura devono molto alle influenze centro asiatiche del mondo steppico, del mondo iranico e all’ellenismo asiatico. I lavori di scavo della missione archeologica italiana, diretti da Antonio Invernizzi e Carlo Lippolis, si sono concentrati soprattutto in due edifici monumentali del Settore Centrale: l’Edificio Rosso e la Sala Rotonda. Quest’ultima doveva avere probabilmente una destinazione sacrale, forse quella di mausoleo di Mitridate I. Scavata dai Sovietici negli anni ’50 e ’80 del secolo scorso, deve la sua importanza alla scoperta di almeno cinque sculture in terra cruda, rinvenute sul pavimento. La missione italiana le ha restituite al pubblico dopo un lungo e complesso lavoro di restauro. Grandi fotografie ci permettono di ammirare, oltre alle statue in terra cruda, costruite su un’armatura di metallo, legno e gesso, una serie di sculture e oggetti di alto livello artigianale, tra cui numerosi recipienti in avorio del tipo a corno (rhyton), decorati nella parte superiore con motivi dionisiaci e divinità di stampo ellenistico, mentre i terminali mostrano figure realizzate con un gusto centro asiatico.

Queste opere possono essere messe a confronto con i pezzi di area partica del museo romano, tra cui un bel rhyton in ceramica, terminante con una testa di cavallo, una bella testa di donna in alabastro, un rilievo funerario da Palmira e una collezione di gioielli.

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