Quando i tedeschi vollero uccidere Hitler

Un libro ricostruisce la resistenza interna in Germania contro l’«invasato coi baffetti»

Giornalista e divulgatore di lungo corso, Luciano Garibaldi dedica il suo ultimo libro Operazione Walkiria (Ares, pagg. 192, euro 13) alla resistenza antinazista in Germania: resistenza la cui azione portò al fallito attentato del 20 luglio 1944 contro Hitler, seguito da oltre settemila esecuzioni capitali.
Con questo volumetto, frutto anche di passate interviste e inchieste, Garibaldi persegue essenzialmente due obbiettivi. Primo obbiettivo: dimostrare che l’opposizione a Hitler fu molto più ampia di quanto in generale si creda. Secondo obbiettivo: dimostrare che americani, inglesi e russi ignorarono per partito preso, o per insensibilità politica, o per semplice stupidità, gli appelli che dalla fronda tedesca arrivavano a loro e che, se ascoltati, avrebbero consentito d’accorciare di un anno la durata del conflitto mondiale, e di evitare almeno dieci milioni di morti.
Sul primo punto do ragione a Garibaldi. Per motivi che possono essere diversi da Paese a Paese, l’antinazismo dei migliori tedeschi - con le chiese evangeliche in primo piano - è stato sottovalutato. Non potevano dargli troppo risalto i vincitori, che nell’immediato dopoguerra si affannarono a considerare il popolo tedesco un tutt’uno con il nazismo e con i suoi crimini. L’idea d’una punizione collettiva e spietata permeò la prima fase dell’occupazione. Ma anche l’Italia, vinta-vincitrice come esige il suo copione, non aveva e non ha alcuna voglia di mettere in rilievo la resistenza tedesca. Siamo affezionati ai documentari e ai film nei quali al tedesco tocca infallibilmente il ruolo del vilain; ci crogioliamo nelle memorie della breve stagione partigiana, ignorando le sottomissioni d’un ventennio; siamo restii ad ammettere che in Germania gli alti ufficiali seppero decidere l’uccisione dell’invasato con i baffetti, mentre in Italia gli alti ufficiali aspettarono che si muovesse il Gran Consiglio del fascismo, e poi fecero ricorso all’ambulanza per imprigionare il Duce. Insomma sul piano emotivo e di riflesso sul piano della storia politicamente corretta la Germania deve rimanere cattiva, sennò va tutto a catafascio (scrivo questo ben sapendo che Hitler ebbe a lungo il consenso entusiastico del suo popolo, come Mussolini).
Meno persuasivo mi pare il ragionamento di Garibaldi sulle responsabilità alleate. Gli angloamericani - che combattevano una guerra nel nome della democrazia e della libertà avendo al loro fianco Stalin! - hanno commesso errori enormi per la Germania (li hanno commessi anche per l’Italia dopo l’8 settembre). Ma la storia è questo, un susseguirsi di errori, di crimini, di illusioni. Possiamo anche abbozzare una storia nutrita di «se».

Ma a mio avviso serve a poco impegnarsi in quel giuoco. La realtà non ha alcun bisogno d’essere ragionevole; e nemmeno d’essere verosimile perché è vera. Hitler non doveva morire il 20 luglio 1944, gli restava poco meno d’un anno per proseguire nella sua opera di sterminio.

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica