Quando la violenza nasce in casa

Bruno Fasani

Non passa giorno senza che la cronaca ci consegni nuovi casi di violenza subiti dalle donne. Nel parco, in discoteca, dentro le mura di casa, in ufficio. A pagare è sempre lei. In passato era anche peggio, anche se la cosa non ci consola. Oltre a quelle di matrice sessuale, che quasi mai venivano a galla, c’erano le violenze codificate dal costume sociale. Era cosa normale che un maschio picchiasse la donna. Sarebbe stato anormale che lei si sognasse di restituire le botte. La si picchiava per le ragioni più strane: magari solo perché aveva sposato un uomo, anagraficamente più giovane, o perché aveva avuto un figlio fuori del matrimonio. Del resto la stessa violenza del padre sui membri della famiglia era quasi sempre elevata al rango di salutare pedagogia. Si è soliti attribuire ai cinesi un detto molto popolare: «Quando torni a casa picchia sempre tua moglie. Lei sa comunque il perché». Più che un detto locale ci sembra l’espressione sgradevole di una globalizzazione culturale.
Tanta di questa cultura è per fortuna evaporata, ma cresce ogni giorno di più l’abuso sessuale. L’Istat ha pubblicato una ricerca su questo tema, i cui risultati sono a dir poco sconvolgenti. Tra il 1999 e il 2001, in Italia, sarebbero state 118mila le donne che hanno subito un qualche tentativo di violenza. Il 44% degli stupri o tentativo di stupro è accaduto in ambiente familiare, mentre il 39% in ambienti pubblici. Ma il dato ancora più inquietante è che solo il 10% di loro ha trovato la forza per sporgere denuncia. Senso di colpa, paura dell’aggressore, trauma psicologico, sono tra le possibili cause di un silenzio che ha il sapore di una violenza nella violenza.
Non è neppure facile individuare le cause di questo fenomeno crescente. Indubbiamente la nostra è una società che sta costruendosi intorno ad una cultura narcisistica sorprendente. Più che il principio della relazione sembra emergere quello del piacere individuale. Diceva un saggio parroco: oggi è più facile far l’amore la prima sera che ci s’incontra che non dire una preghiera insieme. Niente di più vero. Mettere insieme un corpo è diventato molto più facile che non ascoltare la voce interiore dell’altro. Sempre più spesso ci si sposa mettendo insieme uno spicchio di sé, piuttosto che la propria storia e l’identità profonda. Viene quindi logico che anche l’uso della sessualità finisca per avere caratteristiche predatorie, finalizzate al soddisfacimento momentaneo e individuale, piuttosto che indirizzarsi a diventare sorgente di comunione tra persone. La vera sessualità, consumata nell’accordo, è preludio di gioia e di vita, mentre la violenza sessuale risponde al principio del possesso e dell’annientamento della preda, cioè ad un principio di morte. C’è qualcosa di aberrante in questo comportamento dell’uomo, l’unico «essere animale» capace di modificare l’orientamento vitale della sessualità. Non manca chi, in questo squallido panorama di violenza, attribuisce alla donna la colpa del fenomeno. Non sarebbe sempre lei la causa scatenante, da Eva in poi, con i propri atteggiamenti provocanti? Pensare in questo modo può costituire un alibi per coscienze approssimative, ma non rende giustizia alla verità.
Dietro ad una violenza consumata si nasconde spesso la sfortuna di un incontro dovuto al caso, dove lo stupratore punta su una donna qualsiasi più che su una donna specifica. Egli è assolutamente indifferente al linguaggio comunicativo della sua preda. E così la violenza può consumarsi con un’avvenente ragazza così come con una donna di modestissima avvenenza. La storia di stupri consumati anche su signore ottuagenarie dice in maniera plastica la verità di questa logica. Una logica predatoria che si trasferisce anche tra le mura domestiche e nei rapporti di conoscenza, quando il violentatore rinuncia a relazioni di comunione, privilegiando la «consumazione» una tantum, come esercizio del desiderio di potenza più che di quello sessuale.

Un problema difficilissimo da risolvere che necessita comunque di una maggiore cultura del valore della donna e della sua dignità.

Commenti