Ma quanti voti servono per la maggioranza? In democrazia uno

Caro Granzotto, vorrebbe cortesemente spiegare a uno che non capisce un’acca di politica: 1) Quand’è che il popolo italiano votò il partito FLI, oggi assiso in parlamento? Saranno gli anni che avanzano (il 14 dicembre è il mio compleanno), ma io non me lo ricordo. 2) Perché mai se 2 o 3 voti in più del minimo richiesto non dovrebbero bastare a moralmente legittimare Berlusconi a governare, allora, in questo caso, chi ha conseguito quei 2 o 3 voti (ma in meno), dovrebbe essere titolato a governare? 3) Molti invocano il cambio della legge elettorale. Non entro nel merito, ma mi viene da osservare due cose: quella legge elettorale fece vincere la sinistra nel 2006 e qualunque sia la legge elettorale, una volta che ha portato ad un governo sostenuto, poniamo, da 350 parlamentari, è sempre possibile che un drappello di 35 di costoro si coalizzi per far cadere quel governo. Ergo la legge elettorale, ancorché non gradita, non è il problema. Perché molti insistono su questo punto?
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Salvo la certezza matematica che oggi è il suo compleanno - auguri! - per il resto le scrivo al buio, caro professore. Mentre le rispondo, ciò che accadrà in Parlamento domani (e qui s’impone il classico «oggi per chi legge») è ancora saldamente nel grembo di Giove. Però l’ipotesi che il governo la sfanghi per due o tre voti è di quelle ritenute attendibili tant’è che le anime belle hanno già fatto sapere che se ciò accadesse il governo non sarebbe legittimato a governare. Quel Pierino di Pierferdinando Casini ha anche aggiunto che se il Cavaliere insistesse a restare al suo posto bisognerà chiamare il 118, e immagino si riferisse al pronto intervento di quel particolare reparto della medicina chiamato neurodeliri. È invece chiaro come il sole che essendo il pallottoliere la chiave di volta della democrazia, un voto, uno solo, basta a stabilire quale sia la volontà popolare splendidamente rappresentata in Parlamento dagli eletti, appunto, dal popolo. Un principio che non conosce deroghe o «forchette»: Casini può dire - e lo dice, lo dice - quel che vuole, ma la metà più uno (non più due o tre o venti) è la semplice formuletta che lo definisce. D’altro canto abbiamo un esempio illustre di maggioranze appese a un filo: l’ultimo governo Prodi, impegnato più che altro a consultare gli orari delle linee aeree e i bollettini meteo per assicurarsi lo sbarco a Fiumicino dell’indimenticabile senatore Luigi Pallaro, eletto in Argentina e dunque costretto al pendolarismo atlantico per garantire a Prodi quel voto (uno, uno solo) che gli consentiva di restarsene a Palazzo Chigi e da lì seguitare a far danni. Con maggioranze anche risicatissime si può benissimo seguitare a governare (Prodi lo fece e non cadde per il ritardo di un volo Buenos Aires-Roma, ma perché Clemente Mastella finì nel calderone dell’inchiesta «Why not», risultando poi del tutto estraneo ai fatti e dunque innocente. Cadde il governo, si diceva, mentre il magistrato titolare dell’inchiesta entrava trionfalmente nell’Europarlamento. Per dire come va il mondo). Si può seguitare a governare, dunque, ma se è già difficile farlo con maggioranze blindate, figuriamoci con quelle di carta velina. E siccome il Berlusca non mi pare tipo da tirare a campare, comunque vadano le cose io le consiglierei, caro professore, di tenere a portata di mano la sua tessera elettorale. In quanto alla legge elettorale, il semplice fatto che ogni due per tre la cambiamo o desideriamo cambiarla dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio che non ne esistono di perfette. Ne esistono, eccome, di inopportune. Questa in vigore, ad esempio, non conviene agli zombi, i morti viventi della prima Repubblica. Tagliata per favorire il bipartitismo, mette fuori gioco i partituncoli che stanno nascendo come funghi. E anche la sinistra, troppo anemica e troppo frantumata per aspirare ad essere l’unico contraltare alla destra liberale.

E il bene del Paese e dei cittadini, si dirà? Ripassi un altro giorno, oggi non è aria.
Paolo Granzotto

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