Roma

Le quattro stagioni secondo Glass

Giunto alla settima edizione, e da tre ospitato nel suggestivo Oratorio del Gonfalone dall’acustica perfetta, si inaugura domenica il «Rome Chamber Music Festival» che porta a Roma una ventata di aria fresca: interpreti sempre ottimi, di varie generazioni, fra i quali spiccano americani e orientali, e programmi abbastanza inconsueti che, saggiamente, accostano antico e moderno, con l’aggiunta, una tantum, di una finestra aperta su altri mondi musicali: una serata nella quale, accanto ai classici del repertorio cameristico, fanno capolino il folk o il jazz. In questa edizione, martedì 15, sbarca a Roma il «Bahia Trio», con il suo folcloristico strumentario e con il carico di musica colombiana del Pacifico, da contrapporre al «Trio per violino, violoncello e pianoforte» in si maggiore, op.8 di Johannes Brahms, in programma nella medesima serata.
Quest’anno, inoltre, c’è una novità, nella serata inaugurale di domenica 13: la prima italiana del nuovo Concerto per violino e orchestra di Philip Glass, intitolato «Le quattro stagioni americane». La parte solistica è affidata al violinista Robert McDuffie, che dell’opera è il dedicatario, accompagnato dall’Orchestra Barocca di Venezia che, nella prima parte del concerto, eseguirà Antonio Vivaldi (Concerto per due violoncelli in sol minore, Concerto per flautino in do maggiore) e il Concerto per oboe in do minore di Alessandro Marcello. Le Quattro stagioni americane di Glass, dopo quelle veneziane di Vivaldi e le argentine di Piazzolla, presentano un’architettura abbastanza singolare: dopo un Prologo, alternano Movimenti e Songs, quattro movimenti e tre canzoni, per complessive otto sezioni, della durata di una trentina di minuti, che danno vita a una suite strumentale più che ad un concerto nel senso classico. I songs attribuiscono una patente americana al concerto, come il tango per le stagioni argentine di Piazzolla - mentre quelle di Vivaldi sono popolarissimi esempi di concerti solistici, nel filone della musica cosiddetta descrittiva, avallata dai sonetti, forse dello stesso musicista, che li accompagnano. Lunedì 16, al Quartetto con pianoforte in mi bemolle maggiore op.87 di Antonin Dvorak, affidato al Quartetto Michelangelo (i cui componenti sono italiani), fa da contrappeso la singolare presenza di un irriverente Quint Etto, formato da cinque archi dell’orchestra di Santa Cecilia, che a loro modo rivisitano e trascrivono brani del repertorio classico e jazzistico.
Ma la serata con il repertorio più variegato è senz'altro quella di mercoledì 16, quando le musiche di Philip Glass per il film The Hours (pianista Stephen Prutsman), saranno seguite dalla Fantasia per pianoforte a quattro mani in fa minore, D 940, di Schubert, mentre la seconda parte del programma sarà interamente occupata dal Quartetto per la fine dei tempi di Olivier Messiaen che, per la sua robusta ispirazione religiosa, non poteva aspirare ad una sede più idonea dell’Oratorio del Gonfalone. In otto movimenti (che adombrano i giorni della creazione, quello del riposo - il settimo- e l’ottavo giorno, quello del giudizio), il celebre quartetto è affidato a un ensemble anomalo: clarinetto, pianoforte, violino e violoncello, dove gli strumenti non suonano quasi mai insieme - il terzo movimento, ad esempio, è affidato al solo clarinetto, e l’ottavo a violino e pianoforte. Lo eseguiranno Robert McDuffie (violino), Alessandro Carbonare (clarinetto), Julie Albers (violoncello) e Stephen Prutsman (pianoforte).
Nella serata conclusiva, giovedì 17, si va, invece, sul classico: in apertura il Trio per pianoforte, violino e violoncello di Maurice Ravel; e, nella seconda parte, unica concessione alle celebrazioni bicentenarie, il Quintetto per pianoforte e archi in mi bemolle maggiore, op.44 di Robert Schumann.


Info: 06.32650719

Commenti