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Quei miracoli che misero in crisi l’Illuminismo

Quei miracoli che misero in crisi l’Illuminismo

Esistono i miracoli? È razionale, degno, onesto credervi? Quale valore ha la testimonianza umana di fatti non verificabili? Il tema, forte, è il cardine di uno dei libri molto belli, necessari e ben curati che le edizioni Medusa propongono puntualmente. Disputa sui miracoli (Medusa, pagg. 128, euro 15,50) accosta infatti i testi della discussione sull’argomento ad opera di David Hume e di John Douglas. Il primo è uno dei più grandi e famosi filosofi, il secondo un pensatore di talento che godette di meritata fama nell’Inghilterra del suo tempo (il Settecento), oltre che di ostilità per le sue idee sospette di eterodossia rispetto alla religione cristiana. Il dibattito, lucido, articolato, vede due posizioni contrapposte: da una parte il filosofo del sensismo, vale a dire dell’esperienza dei sensi come unico metro di valutazione del reale, dall’altra l’uomo di fede impegnato a sostenere i propri argomenti con la logica razionalistica dell’Illuminismo, di cui entrambi i contendenti sono figli. La bellezza del libro è nella sua doppia natura. Da un lato ci presenta due menti lucidissime impegnate a sostenere l’una l’insensatezza della fede nei miracoli, l’altra la realtà di quelli di Cristo, contrapposta alla natura fasulla di tutti gli altri di cui si tramanda. Dall’altro lato, quello segreto, il volume pare maliziosamente concepito come un copione di Borges, atto a mettere in scena la vacuità cui giunge l’intelletto umano, quando, pur attraverso interpreti di grande valore, si perde in se stesso, nel delirio impeccabile della logica argomentativa. Il grande filosofo Hume non si pronuncia in realtà sul miracolo, si limita ad affermare che non esistono ragioni per credervi. La testimonianza del passato non è affidabile, inoltre i miracoli sono spesso evocati a sostegno di una religione in fase di affermazione, e in quanto tali non onestamente narrati. Douglas si domanda perché i miracoli a fini religiosi dovrebbero essere più incredibili di quelli fini a se stessi, e inoltre aggiunge un argomento indiscutibile: il fatto che la storia umana, dalle cronache di Livio alle storie dei viaggiatori greci e romani alle agiografie dei santi (ma noi potremmo aggiungere una esorbitante casistica induista, buddista, sciamanica, animista) sia strabordante di bufale, di pure cialtronerie di invasati (coloro che mentono a se stessi) o di imbroglioni (coloro che mentono agli altri in mala fede), non toglie nulla alla realtà del miracolo. Nessuno infatti rifiuta una moneta solo perché ne esistono di contraffatte, come nessuno pensa che la storia dell’uomo sia intonata esclusivamente ai registri del male solo perché il male la frequenta. Affascinante la disputa, ma torniamo a Borges: in realtà nessuno dei due contendenti ci dice nulla del miracolo, che immediatamente si allontana dai loro orizzonti. Con intuizione semplice e fulminante Hume sottolinea come la fede nel miracolo sia legata allo stupore, e anche lo scettico, o meglio, coi suoi termini,l’uomo intelligente, condivide per un attimo il piacere della credenza, poiché eccitato, animato dallo stupore. Qui Hume si rivela il fuoriclasse anche in una partita sbagliata, il genio che viene fuori anche mentre il suo tenutario sta giocando col trenino elettrico. Ma subito la parola stupore scompare, e invece è qui l’enigma: l’illuminismo riuscì a imporre una dittatura razionalistica anche ai massimi talenti del Settecento, capace di allontanarli subito dall’intuizione e dal concreto, che non è solo il percettibile, ma il mistero dell’impercettibile che parla comunque. Infatti, discutendo del miracolo come chi non sa che cosa sia, chi non pensa di averne bisogno o di conoscerlo in ogni attimo della sua vita, nel bene e nel male, si allontanarono dall’unica scienza fondata sul miracolo, la poesia, che non lo conosce ma lo frequenta, non lo definisce ma lo svela. Furono gli illuministi a bandire dalle università gli studi di Omero, Dante e Shakespeare, considerati tre barbari fanciulleschi, creduloni, superstiziosi. Gente che credeva nelle fandonie popolari e nei sogni. Bandirono proprio quei tre.

Fate voi.

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