Cultura e Spettacoli

Quei versi si fanno scienza

«Mes vers ont le sens qu’on leur prête», scrive Valéry, con la consapevolezza dell’universalità della sua poesia, il cui maggior pregio egli riconosce, al di là dell’assunto, nel lavorio spirituale che essa presuppone, vero e proprio strumento di conoscenza, di sprofondamento negli abissi del sé. Del resto questa visione relativa e al contempo assoluta, per così dire, era la sua, se, nel momento in cui è decretato «intellettuale ufficiale» di Francia e come tale ricoperto di onori (dal 1924 in poi sarà infatti presidente del Pen Club francese, subito dopo Accademico di Francia, detentore della cattedra di poesia al Collège de France ecc.), quando gli viene affidato il compito di ornare con una frase immortale la facciata del Palais de Chaillot, di fronte alla Tour Eiffel, il suo componimento comincia con «Il dépend de celui qui passe/ Que je sois tombe ou trésor,/ Que je parle ou je me taise \» («Dipende da colui che passa/ che io sia tomba o tesoro,/ che parli o taccia \»): parole immortali e sottoscrivibili davvero.
Ma alla poesia Valéry ritorna tardi, dopo gli esordi giovanili di ispirazione simbolista: una grave crisi esistenziale lo spinge infatti a decidere di ripudiare per sempre gli idoli della letteratura, dell’amore, per consacrarsi alla sola «vita dello spirito». È l’amico André Gide (interessantissimo il loro corposo carteggio) che lo esorta a riprendere a scriver versi, e sarà, nel 1917, La jeune Parque, cui seguiranno Le Cimetière marin (1920), Charmes (1922). In sottofondo, come un basso continuo, la scrittura diaristica, quei Cahiers che stendeva di primo mattino, e che formano ora parecchi volumi. Conoscenza significa anche, per Valéry, conoscenza scientifica: ed egli è attento lettore di Bergson, di Einstein e d’altri. Il testo Introduction à la méthode de Léonard de Vinci (1895), tra le altre cose, testimonia l’ampiezza dei suoi interessi.
Era nato nel 1871 a Sète, un piccolo porto sul Mediterraneo a Sud-Ovest di Montpellier (dove compie i primi studi, laureandosi nel 1889 in Giurisprudenza), nella regione della Languedoc-Roussillon. Dal 1894, il trasferimento a Parigi, l’impiego al ministero della Guerra, il matrimonio con Jeannine Gobillard, e i tre figli. Quindi, a seguito del successo poetico, il cursus honorum che abbiamo detto. La sua figura sobria e raffinata, la sua intelligenza vivissima e l’apertura ad accogliere ogni manifestazione di quanto lo circonda lo fa amare dal pubblico e dagli intellettuali. In un ritratto rimasto famoso, il poeta e critico Léon-Paul Fargue ne descrive il volto «modellato, polito, dolce, omerico, parigino, mediterraneo, scientifico, arguto \».
Fondamentali, nella sua formazione, le radici mediterranee, la cittadina natale. «Sono nato in uno di quei luoghi in cui avrei voluto nascere», dichiara in una conferenza tenuta a Parigi nel 1934, dal titolo Ispirazioni mediterranee, e continua: «un porto di modesta importanza, in fondo a un golfo, ai piedi d’un colle; \ Sono felice d’esser nato in un punto tale che le mie prime impressioni siano state quelle che si ricevono dinanzi al mare e al centro dell’attività umana. \ L’occhio abbraccia così l’umano e il sovrumano \ come la scena di un teatro in cui si muove, canta, muore talvolta un solo personaggio: la luce. \ nulla mi ha più formato, più impregnato, meglio istruito - o costruito - delle ore sottratte allo studio, distratte in apparenza, ma consacrate invece al culto inconscio di tre o quattro divinità incontestabili: il Mare, il Cielo, il Sole».

E dinanzi ad esse, nel suo «cimitero marino», Valéry va a stare dopo la morte, avvenuta il 20 luglio 1945.

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