Quel fragile fiore della creatività

Una lunga serie di interventi, spettacoli e performance indagando sulle diverse modalità espressive, dal disegno alla danza, dalla musica alla scrittura Dai neonati prodigio alle differenze tra uomo e donna

Secondo il neurologo Antonio Damasio, la coscienza è un sentimento. Proprio come l’amore, l’odio, la rabbia. Nel suo saggio Emozione e coscienza (Adelphi, 2000), Damasio cerca di dimostrare scientificamente che sentiamo, dunque siamo: «Tutte le cose che inventiamo - scrive Damasio - dalle norme etiche e dalle leggi alla musica, alla letteratura, alla scienza e alla tecnologia, sono direttamente comandate o ispirate dalle rivelazioni dell’esistenza che ci offre la coscienza. Inoltre, in un modo o nell’altro, in misura maggiore o minore, le invenzioni hanno un effetto sull’esistenza rivelata, la modificano nel bene e nel male. L’influenza è circolare - esistenza, coscienza, creatività - e il cerchio si chiude».
Proprio su questi concetti-chiave, esistenza, coscienza, creatività, sembra si stia giocando la partita della comprensione dei meccanismi del cervello umano. A dimostrarlo, gli interventi di molti tra gli ospiti del Festival della Mente, che si aprirà venerdì a Sarzana.
La sfida del prossimo decennio e oltre sarà non più soltanto quella di comprendere come nascano e si sviluppino i processi di conoscenza, ma anche di collegarli all’umano sentire. Lasciandosi alle spalle, o quasi, la formuletta «mente=computer», l’ipotesi è che si possano affermare nessi interdisciplinari sempre più stretti tra arte e neuroscienze, ma anche tra neuroscienze e filosofia, psichiatria, linguistica, per arrivare a quello che Vittorio Gallese, professore di fisiologia all’Università di Parma - che interverrà al Festival su «Neuroscienze ed esperienza estetica» - chiama «modello integrato di intersoggettività».
«Il nostro punto di vista non è quello del creativo, ma dello spettatore. Cerchiamo di dimostrare che nell’opera d’arte c’è qualcosa che “risveglia” qualcos’altro nel corpo di chi la guarda», ci spiega Gallese, che non usa a caso il termine “corpo”: l’approccio è nuovo proprio perché cerca di rivalutare il ruolo “carnale” della conoscenza e della creazione artistica. «Nell’esperienza estetica viene messa in atto una forma di empatia», continua Gallese. «Attraverso metodi di analisi e misurazione come la risonanza magnetica o l’elettromiografia abbiamo stabilito che quando noi osserviamo azioni ma anche immagini statiche di azioni si induce un’attivazione del sistema motorio. Stiamo cercando di capire se questo valga a maggior ragione per le immagini artistiche: quando guardo il dripping di Pollock, la pennellata di Van Gogh o i tagli nelle tele di Fontana, quel che m’impressiona è dovuto alla riattivazione nel mio cervello provocata dal gesto motorio eseguito dall’autore per tracciare quel segno. Una sorta di risonanza corporea che contribuisce sensibilmente alla valenza estetica del quadro».
Il corpo rientra così in gioco sia nell’esperienza estetica che nella creazione artistica, sia in modo conscio che inconsapevole. Non a caso nell’adolescenza, età per eccellenza in cui il fisico si trasforma, si sviluppa maggiormente il gesto creativo: «Negli adolescenti, con la trasformazione del corpo e l’accesso alla sessualità e generatività giunge la voglia di costruire identità, saperi, competenze» ci spiega lo psichiatra Gustavo Pietropolli Charmet, che parlerà a Sarzana proprio de «La mente adolescente che crea e distrugge». «Che si tratti di processi creativi e non di semplici adeguamenti è dimostrato dal fatto che vengono scelte modalità espressive di tipo artistico: disegno, danza, musica, scrittura. Per cercare se stessi nella comunicazione e per rendersi socialmente visibili. Sullo sfondo poi, la più grande costruzione simbolica della vita, cioè l’amore». Sempre più spesso, però, si tende ad anticipare questa capacità creativa, considerandone lo sviluppo non a partire dall’età adolescenziale, ma da quella infantile: l’esempio più noto sono i cosiddetti bambini-prodigio. Che tuttavia rischiano, vista l’ingerenza della tecnologia nella primissima età, a diventare neonati-prodigio: «La creatività si compone di fattori innati, culturali ed esperienziali. E al bambino ne mancano troppi» ribatte la psicologa Anna Oliverio Ferraris, che interviene al Festival su «Creatività e doppio volto della paura». «Persino Mozart cominciò a comporre davvero a vent’anni. Prima si esercitava, arrangiava pezzi, studiava, eseguiva. Il bambino è libero da disapprovazioni e censure, che spesso bloccano la creatività adulta, ma questo non basta».
La spinta creativa si blocca per disapprovazione, è dunque un fiore così fragile? «La creatività ostacolata genera solitudine e stare soli fa paura» prosegue Oliverio Ferraris. «Lo dimostra lo sviluppo creativo tardivo delle donne nella storia. Molte composizioni di Felix Mendelssohn erano di sua sorella Fanny, ma non stava bene renderlo noto in società. E così la povera Fanny non poté mai sviluppare il suo talento». A sostenere questa tesi è anche la storica dell’arte Angela Vettese, che sarà al Festival insieme all’economista Severino Salvemini per discutere di «Emozione e regola»: «La storia dell’arte occidentale è tutta maschile. La speranza è che né temi come maternità, caducità del corpo, fertilità, né pratiche artigianali come ricamo o fotografia familiare siano più i soli campi dove la creatività delle donne si esprimerà in futuro.

Non possiamo prescindere dalle neuroscienze, che potrebbero dimostrare effettive differenze in termini di gesto creativo, ma istintivamente direi che, fatta salva la poetica, non vi sono differenze tra i processi mentali creativi maschili e femminili. La dialettica emozione-ragione, che poi è oscillazione tra consapevole e inconsapevole, appartiene a entrambi i sessi».

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