Quel morto vivente chiamato socialismo

Il socialismo è morto, su questo non ci piove. Il socialismo è vivo, nemmeno su questo ci piove. Ma non è morto per le ragioni che immaginano gli statisti come Rutelli. E non è vivo per quelle che adducono i politiconi come Bobo Craxi. Le ragioni per cui il socialismo è insieme morto e vivo rimandano infatti ad alcune circostanze che al leggendario sguardo d’aquila dei massimi esponenti della nostra gauche, proprio a causa della loro mascroscopica evidenza, possono solo sembrare assolutamente irrilevanti.
Le ragioni per le quali il socialismo è morto si riducono in effetti a un’unica evidenza: nessuno dei suoi fini originari è stato conseguito. Questi fini - abolizione della proprietà privata dei mezzi di produzione, progressiva estinzione dello Stato, instaurazione della società senza classi - erano essenzialmente gli stessi perseguiti dal comunismo. La sola differenza era che mentre il comunismo si proponeva di conseguirli mediante un unico colpo (la rivoluzione proletaria), il socialismo, che proprio per questo fu ribattezzato «socialdemocrazia», pensava di poterli raggiungere gradualmente attraverso un lungo processo di riforme.
Le ragioni per le quali il socialismo, pur essendo morto, è tuttavia sempre vivo, si riducono anch’esse a una sola evidenza, ossia a quella grande legge storica che vuole che tutti i grandi miraggi dell’umanità sopravvivano al loro fallimento trovando continuamente di che rilanciarsi e perpetuarsi proprio nelle loro rovine. Anche il socialismo, come tutte le grandi utopie sociali e religiose, nacque dal rifiuto di questo mondo e dalla fede in un nuovo mondo, ma per predicare quel rifiuto e quella fede si dovette organizzare in questo mondo, e questo lo costrinse ad adattarsi gradualmente proprio al mondo che voleva sovvertire. Di qui l’ininterrotta creazione di organizzazioni, strutture e apparati concepiti come mezzi per perseguire i fini originari dell’intero movimento ma la cui preservazione ed espansione si trasformò presto nel suo unico vero scopo.
Ciò tuttavia non vuol dire che il socialismo non abbia più nulla da fare e da dire. Tutto lascia anzi prevedere che gli restino ancora da fare e da dire innumerevoli cose. Nessuna creatura umana è infatti più operosa e loquace di quelle alle quali, che essendo al tempo stesso morte e vive, spetta di diritto il nome di morti viventi.
Sembra anzi che la condizione di morto vivente sia estremamente propizia alla produzione incessante di parole e fatti memorabili. Vedi l’immaginazione scatenata dell’uomo che è forse il più illustre morto vivente del socialismo italiano. Mi riferisco ovviamente a Giuliano Amato, l’uomo che ha rifondato il socialismo affermando che «il riformismo non è la destra della sinistra».
guarini.

r@virgilio.it

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