Controcultura

Questa volta sì «piangi per noi, Argentina»

Ascolta ora: "Questa volta sì «piangi per noi, Argentina»"

Questa volta sì «piangi per noi, Argentina»

00:00 / 00:00
100 %

Davide Brullo

Quando le chiesi cosa significasse scrivere sotto la dittatura militare, la Gran Signora della letteratura argentina allungò il dito, come a cucirmi le labbra. «Uno scrittore non aspetta che sia il potere a concedergli la libertà. La censura non è infallibile; ciò che annienta uno scrittore è l'autocensura». Liliana Heker, che oggi ha 75 anni, ne aveva 17 quando, con Abelardo Castillo, di cui fu musa, rivoluzionò la letteratura del suo Paese con le riviste Lo Scarabeo d'Oro e L'Ornitorinco. Durante l'era di Videla, dimostrò che lo scrittore non si fa aggiogare dalla Storia, ma soggiorna nel genio: diede del codardo a Cortázar, nel dorato esilio europeo, e nel '96, con El fin de la historia, firmò, con lucidità che dissecca il pianto, il romanzo di quegli anni.

Alan Pauls (classe 1959), incarna uno dei crismi letterari della Heker («La realtà offre buoni spunti, ma non crea opere d'arte») e continua a scavare negli anni '70 argentini. Senza la manfrina del romanzo storico. In Storia del pianto, primo volume della «Trilogia della perdita» (gli altri, già editi come questo da Sur, sono Storia dei capelli e Storia del denaro), i fatti sono trasfigurati dagli occhi di un ragazzino che non sa piangere, ama Superman e «invidia il pianto, l'incontenibilità del pianto e tutto quel che il pianto comporta, le congiuntive rosso sangue, il rossore al viso, gli accessi di singhiozzo... la furia sconsolata». Il romanzo ricorda un po' Chiamalo sonno di Henry Roth e la scrittura psichica e spasmodica di Clarice Lispector; i militari a Buenos Aires «sembrano gli alieni di Invaders in forma umana», il protagonista è magnetizzato dall'«aspetto assolutamente impeccabile di quelle uniformi... stirate, pulite, identiche nel colore, tagliate perfettamente su misura, nuove fiammanti», e da quegli uomini «ben pettinati, il berretto ben messo, le scarpe lustre, la valigetta scura all'altezza adeguata e il passo sincronizzato... condannati alla parodia, al marzapane, all'ingenuità dei pupazzetti sulle torte».

Quando la Gran Signora sguainò il dito dalle mie labbra, disse, riferendosi al regime militare argentino, «ma la nostra milizia è più profonda». Alcune frasi di Pauls, stilettate etiche («Il dolore è la sua educazione, e la sua fede»; «La felicità è l'inverosimile per eccellenza»; «Diffida della gioia come del resto di ogni emozione capace di dare, a chi vi è immerso, la sensazione di non aver bisogno di nulla»), mi ricordano quelle parole.

Lo scrittore milita nell'illimite, nessun regime può sopprimerlo o salvarlo.

Commenti