Cinema

Il re dei mille e più trailer che attirava gli spettatori col suo "prossimamente"

Nella biografia di Miro Grisanti settant'anni di storia del nostro cinema, tra fantasia e genio

Il re dei mille e più trailer che attirava gli spettatori col suo "prossimamente"

Pasolini, Bava, De Laurentiis, Ferreri, Visconti, Festa Campanile, Argento, Nichetti, Manfredi, Pozzetto, Nuti, Benigni, Vanzina, Troisi, Bud Spencer e Terence Hill, Bertolucci, Avati, Fellini, Germi, Monicelli, Verdone, Scola, Parenti, Castellano e Pipolo. E l'elenco è ancora più lungo, quasi infinito. Praticamente, buona parte della storia del cinema italiano, dal 1966 ad oggi. Il sogno, di tanti addetti ai lavori, è stato quello di poter lavorare con alcuni di questi registi, attori e produttori. Già il riuscire a segnare, in agenda, 6-7 nomi sarebbe stata tanta roba. Eppure, c'è una persona che ha lavorato con tutti loro. E non solo. Che ha creato cinema con loro e al quale molti di loro devono tantissimo. Si chiamava Miro (che era l'abbreviativo di Vladimiro) Grisanti, un nome che, forse, ai più dirà poco. Eppure, chissà quante volte avrete visto una sua opera. Non vi risulta? E se vi dicessimo «Prossimamente al cinema», quanti ricordi vi si sbloccano? Perché Miro Grisanti è stato soprannominato, non a caso, «L'uomo dei mille trailer», anche se, in realtà, nella sua lunghissima carriera, iniziata, appunto, nel 1966 e durata per tutta la vita, ne ha realizzati 1.200 circa, uno più, uno meno.

E, badate bene, inventandosi il modo di farli e richiamando in sala chissà quante persone incuriosite dai suoi originali «Prossimamente». Spesso frutto di trovate ingegnose, come potrete leggere nel libro. Altro che digitale. A leggere la sua biografia, intitolata, non a caso Io, l'uomo dei mille trailer, a cura di Fabio Micolano e Giulio Grisanti (Rubbettino Editore), si viene immersi in un mondo che, purtroppo, non esiste più. Dove i professionisti avevano la «P» maiuscola e dove l'inventiva valeva ben più di un programma al computer. Grisanti ha, come si suol dire, sempre avuto il cinema nel Dna. Lui, nato a Roma nel 1931, a 17 anni aveva iniziato a disegnare i titoli di testa, in bianco e nero, alla Saci. Considerando che ha praticamente smesso di lavorare nel 2019, si fa presto a calcolare che Grisanti abbia attraversato 70 anni di grande (e non solo) schermo. Praticamente, fino alla sua morte, recente, avvenuta il 13 agosto del 2022. Come «trailerista», inizia, per caso, nel 1966 con Agente Z55 missione disperata. Merito di Bruno Mattei. «Miro, il mio film non è tra i migliori; è stato girato con pochi mezzi e il risultato è un po' deludente. Per questo motivo vorrei pubblicizzarlo nel miglior modo possibile. Pensaci, sono sicuro che riuscirai a fare un trailer differente da tutti quelli che siamo stati abituati a vedere finora». E Grisanti accetta e si mette a produrre il primo dei suoi 1.200 trailer. «Nessuno di noi poteva immaginare che mi stavano offrendo un'occasione unica per rinnovare questo lato del cinema sconosciuto al grande pubblico. Credo che sia stata la prima volta che in Italia si pubblicizzava una pellicola senza l'ingombro di quelle inutili scritte: Un film grandioso, Un film da non perdere!. Avevano il sapore della domanda di un vecchio detto con la risposta già scontata: Oste è buono il tuo vino?».

L'impatto sul pubblico fu notevole. Il film Agente Z55 missione disperata conquistò subito il primo posto nella classifica degli incassi. E la fama di Grisanti crebbe con il passaparola. Gli autori più impegnati se lo contendevano. Pasolini gli affida Porcile, quello del trailer «con i volti che si deformavano così da conferire ai quei visi una forte sembianza da suino». Visconti lo vuole per i trailer de La caduta degli dei del 1969 e Morte a Venezia del 1971. E sono suoi Banditi a Milano (Lizzani), Scusi, facciamo l'amore? (Caprioli), Dillinger è morto (Ferreri), Lo chiamavano Trinità (Barboni), Venga a prendere il caffè da noi (Lattuada), Il conformista (Bertolucci), Fratello sole, sorella luna (Zeffirelli), Le avventure di Pinocchio (Comencini), Scene da un matrimonio (Bergman), Fantozzi (Salce), La casa dalle finestre che ridono (Avati), Un borghese piccolo piccolo (Monicelli), Acqua e Sapone (Verdone), Cotton club (Ford Coppola), Ginger e Fred (Fellini). E via dicendo. Gli bastavano dai 15 ai 90 secondi per rispettare l'opera, incuriosendo lo spettatore. Se il cinema italiano ha conosciuto il boom, lo deve anche ai suoi «Prossimamente». Il tutto, si rivive in questa agile biografia, un concentrato di amore per il cinema.

Premiato, pochi anni fa, al Trailers FilmFest, diretto da Stefania Bianchi, gli hanno chiesto: «Come mai signor Grisanti, i suoi trailer più recenti, anche se molto belli, non mi hanno dato le stesse emozioni di quelli più datati?». E lui: «Ridatemi i Visconti, i Lizzani, i Ferreri, i Pasolini, i Rosi, i Lattuada, i Comencini, gli Zeffirelli, i Bolognini, i Bertolucci, i Monicelli e ancora tutti gli altri autori che mi hanno regalato la loro fiducia affidandomi la pubblicità dei loro film, e probabilmente riuscirò a restituirvi le stesse emozioni».

Praticamente, in una frase, ha fatto il trailer dell'attuale stato del cinema italiano.

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