Stile

Quel ristorante chiamato fattoria È la nuova frontiera degli chef

Più di un agriturismo e meno di uno stellato, vicini alle città ma lontani dal delirio culinario: sono i nuovi locali oltre il km zero

Maurizio Bertera

Il piacere del «fuoriporta», legato al buon cibo, resta ai primi posti nel gradimento degli appassionati italici, non sempre ripagato concretamente ma perennemente inseguito. Ora per i gourmet si sta evolvendo in un nuovo concetto, il «farm restaurant», sbarcato in Europa, dopo essersi diffuso negli Stati Uniti. Quali sono le caratteristiche? In primis, la posizione. Non deve essere sperduto ma a una certa distanza dalla città, senza esagerare, visto il tipo di clientela: due ore di strada hanno senso per un tre stelle Michelin ma non per un locale di cucina essenziale. E se è piazzato sui confini urbani, meglio ancora. Poi non è un agriturismo: i piatti eseguiti magari utilizzano le stesse materie prime (a volte, le due realtà sono pure vicine) ma la filosofia culinaria e l'asticella tecnica sono state piazzate più in alto. Infine, qui il km zero che ha fatto pure danni - va in archivio per lasciare il posto al nuovo dogma «to farm to table»: tutto quello (o quasi) che serve per cucinare arriva da quanto prodotto a pochi metri dai fornelli. Facile a dirsi, soprattutto pensando alla stagionalità. Ma non impossibile se in regia ci sono dei maestri. Sulla tendenza, gli americani sono all'avanguardia. Intorno a New York si contano almeno una decina di farm restaurant dove si mangia bene, secondo i loro standard ovviamente. Il «profeta» del movimento è Dan Barber, amicoconsigliere di Michelle Obama e cuoco-scrittore (è editorialista del NY Times nonché autore di libri vendutissimi come «La cucina della buona terra») che ha conquistato una stella Michelin con il Blue Hill, nel Greenwich Village, Ma non gli bastava evidentemente ed ecco che a un'ora di auto dalla Grande Mela, ha aperto il suggestivo Blue Hill at Stone Barns, già simbolo del mangiare sano ed ecosostenibile negli States. Il menu è di trenta portate e la prima parte si mangia con le mani prendendola da una sorta di rastrelliera in cui sono infilate primizie vegetali come ravanelli e altri germogli del momento. Detto che la parte vegetale spadroneggia (anche il dolce è una barbabietola), va detto che c'è un'indubbia teatralità nell'esperienza: viene servita una sorta di colazione (la chiamano proprio breakfast) con cereali, tè allo zenzero e salmone; le patate vengono cotte in un'altra sala davanti ai clienti che quindi si alzano da tavola - e il pane viene offerto come unica portata, naturalmente in panetteria. Aspetto che ha colpito Niko Romito, il nostro tristellato abruzzese, ispirato da una recente visita e che potrebbe replicare l'idea nel «suo» Abruzzo: ha lo spazio giusto ed è bravo quanto (anzi di più) di Barber. Anche l'ex n.1 del mondo, il danese René Redzepi, ha optato per un farm restaurant, ancora più urbano: chiuso il mitico Noma, lo riaprirà in un quartiere di Copenhagen quello più indie e artistico, Cristiania partendo dall'agricoltura. «Per un ristorante come il mio ha senso avere una fattoria, senza uscire dalla città ha spiegato non ho paura al pensiero di dover inventare ogni giorno il menu, per me gli chef devono imparare a lavorare con qualsiasi cosa sia prodotta dalla terra». La sua carta quindi sarà più che mai stagionale con la scomparsa di pesce e carne (già poca, peraltro) in primavera e in estate quando diventerà totalmente vegetariana. In Italia, la new wave ha debuttato a Gaggiano, hinterland sud-ovest di Milano: si chiama Ada e Augusto, «bomboniera» di classe all'interno della storica Cascina Guzzafame. In cucina ci sono il giapponese Takeshi Iwai ottimo allievo di Cuttaia, Alajmo, Genovese e Cannavacciuolo e la raffinata pastry-chef Maria Giulia Magario.

Il menu? Piatti essenziali, leggeri e di alta scuola, dove il 70% dei prodotti utilizzati sono interni alla cascina: la carne di manzo e maiale dell'allevamento; il pollame e il riso Carnaroli; le farine per la pasta, il pane e i dolci; le verdure e gli ortaggi bio; il latte che nel caseificio diventa burro, yogurt e formaggi; e ancora le uova, il miele e i fiori edibili Non a caso è già apprezzato sulle guide e i blog «seri»: se quanti seguiranno la nuova tendenza e seguiranno, statene certi la interpreteranno come Ada e Augusto, c'è un buon futuro per i farm restaurant anche in Italia.

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