Controstorie

Il risveglio dell'Etiopia e una donna presidente

Vola l'economia dell'ex colonia e Addis Abeba è una capitale moderna. Con le privatizzazioni

Il risveglio dell'Etiopia e una donna presidente

Madre Africa non è più soltanto un concetto usato (e spesso abusato) per definire l'ombelico del mondo. Oggi il continente nero ha davvero una madre, una donna a rappresentarlo. Sahlework Zewde, 68 anni, è la prima donna a ricoprire la carica di presidente dell'Etiopia ed è l'unica capo di Stato donna attualmente in carica in Africa. Nella storia continentale le donne al comando sono state in tutto quattro: Sylvie Kinigi (Burundi), Joyce Banda (Malawi), Ameenah Gurib-Fakim (Isole Mauritius) ed Ellen Johnson Sirleaf, dal 2006 al 2018 alla guida del Ghana (ora c'è George Weah). Il Parlamento di Addis Abeba ha eletto Sahlework il 25 ottobre, una settimana dopo ha formato un nuovo governo, che per metà è composto proprio da donne. Sahlework Zewde è già stata rappresentante speciale del segretario generale delle Nazioni Unite, presso l'Unione africana. In precedenza, era stata ambasciatrice in Francia e in Senegal, nonché presso l'Autorità intergovernativa per lo sviluppo che è un organismo internazionale dell'Africa orientale. Nel suo primo discorso da capo dello Stato ha parlato soprattutto di pace e della necessità di promuoverla e mantenerla, ma si è concentrata anche su questioni politiche: «Se a portare avanti l'attuale cambiamento ci saranno sia gli uomini sia le donne, allora il risultato sarà la nascita di un'Etiopia senza più discriminazioni religiose, etniche e di genere».

Sahlework è nata ad Addis Abeba, località che rievoca le colonizzazioni italiche, ma è cresciuta in Francia, a Montpellier. Quando è apparsa per la prima volta in tv ha spiegato alla nazione che «dobbiamo concentrarci su ciò che ci unisce e non su ciò che ci divide. Solo così riusciremo a credere nel nostro Paese, senza più abbandonarlo». A distanza di tre mesi dal suo insediamento Sahlework guida una nazione che è una locomotiva in corsa, forte di una crescita economica che a queste latitudini potrebbe apparire surreale. L'Etiopia non fabbrica solo più campioni della corsa come Bikila o Gebrselassie, ma confeziona record di incremento produttivo. Roma-Addis Abeba rischia di diventare un confronto scomodo e per nulla scontato, soprattutto se anche al Colosseo, dove Bikila trionfò correndo a piedi scalzi, le maestranze spesso incrociano le braccia. Chi è stato almeno una volta ad Addis Abeba sostiene che questa città abbia il potere di incollarsi addosso al viaggiatore come una seconda pelle. L'adesivo virtuale è una mistura di corsa dei bambini, di terra rossa e di corpi sudati. C'è sicuramente un velo di romanticismo nel descrivere l'Etiopia osservandola dal ventre che ha partorito tra l'altro la religione Rastafari, professata da Bob Marley. Se la si analizza sotto un aspetto più pratico e meno onirico emerge invece uno spaccato sorprendente. Mentre l'Italia ha chiuso il 2018 con un modesto +0,9% alla voce Pil, l'Etiopia, che nel 1936 era stata annessa dal generale Badoglio all'impero fascista, ha risposto con un +8,2%.

Analizzando i dati che provengono dalla Banca Mondiale, il capovolgimento dei valori è lapalissiano: l'ex colonia mostra i muscoli, gli ex colonizzatori esibiscono invece risultati da terzo mondo. Ma cosa è accaduto in Etiopia da far gridare al miracolo economico? La ricetta è semplice: il governo ha dato vita a una radicale privatizzazione delle aziende di Stato. Nel 2002 erano 250, ora ne sono rimaste 28. Smantellati i carrozzoni è iniziato il decollo. Nel vero senso della parola perché, metro a parte, il caso più lampante riguarda la compagnia aerea di bandiera, l'Ethiopian Airlines, diventata nello spazio di due anni il fiore all'occhiello tra i vettori dell'Africa e uno dei competitor più importanti al mondo con 80 collegamenti internazionali e la terza proprietaria del pianeta di Boeing 737. I risultati si possono tastare con mano anche trasferendosi nel settore agricolo. Nel 1992 si esportavano 208 tonnellate di prodotti della terra. Nel 2000 le tonnellate erano già 16mila. Lo scorso anno sono più che triplicate e di questo passo si arriverà a un export di 54mila tonnellate entro la fine del 2019. In Etiopia hanno persino iniziato a produrre benzina verde e a sviluppare la rete elettrica (sfruttando le cascate del Nilo azzurro) che viene esportata anche in Kenya, Tanzania e Uganda. Forse il terzo mondo è davvero altrove.

La popolazione sta tastando con mano il cambiamento. Lo si evince dalla crescita demografica: Addis Abeba, che per grattacieli sembra una nuova Dubai, è passata da 1 a 4 milioni di abitanti. Si sfiorano i 100milioni in tutto il Paese con oltre 2 milioni di poveri in meno rispetto allo scorso anno. Parole come «miracolo» o «tigre» si sprecano nei commenti degli analisti, anche se forse il termine più corretto è «programmazione». La presidentessa Sahlework Zewde spiega: «Siamo partiti dal basso. Le risorse ci sono. L'Africa deve diventare solo più consapevole e allontanare stampelle di cui non ha bisogno». Nel giro di poche settimane ha organizzato in Etiopia e all'estero una serie di incontri bilaterali con capi di Stato e primi ministri di Irlanda, Danimarca, Germania, Egitto e Cina. «L'Etiopia ha molto da offrire ha spiegato a chi le domandava dai banchi dell'opposizione dei suoi continui viaggi e questo è il momento giusto per migliorare le relazioni diplomatiche. Se la curiosità di incontrare una donna alla guida di una nazione africana può diventare una sorta di passe-partout per stringere alleanze internazionali non posso far altro che mettermi a disposizione.

L'età della pietra si è conclusa da un pezzo».

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